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Attualità. La “Cultura della Legalità” a Monte? Certo, ma senza scheletrucci nell’armadio

Monte Sant'Angelo - il quartiere Junno (foto) ndr.
di Nico Baratta

MONTE SANT'ANGELO (FG), 9 SET. - Correva l’anno 2012, e precisamente il mese di gennaio (ben 4 anni e mezzo fa), quando alcuni media locali dell’Agro Romano e non solo, pubblicavano una notizia che a breve sarebbe diventata virale. Lo stato attuale del modus operandi, che altro non è il diretto frutto del modus pensandi dell’uomo inteso come persona, porta a far notizia una simile azione. Merito o demerito di alcune forze politiche che da qualche anno puntano il dito contro ogni azione che viola la legge, non quella scritta che con un cavillo capovolge le sorti dell’accusa, bensì quella del viver sani e in piena legalità, che non sempre combacia con la giustizia. Forze politiche che si son riviste dentro, che son nate da poco, che hanno virato verso una meta difficile da raggiungere ma ottenibile. E questo è un bene perché ha risvegliato coscienze assopite dall’assordante silenzio indotto da chi ci governava e amministrava. Peccato che chi ha il potere di far rispettare la legge spesso applica “cavilli” –legali, s’intende- che riaddormentano molti, semmai inducendoli a “vedere” altre mete spesso frutto di promesse fatue e sospese da oltre trent’anni. Peccato…

Comunque, prefazione scritta, oggi son qua per comunicare qualcosa che la comunità di Monte, e altre, deve assolutamente sapere e che sicuramente già sa ma con alcuni particolari che spesso non vengono detti. Ormai tutti a Monte sono a conoscenza che alle ore 10, nella sede comunale, con la Delibera Comunale n°116  del 19 agosto 2016, i tre Commissari Prefettizi Straordinari, Andrea Cantadori, Alberto Monno, Sebastiano Giangrande, con l’approvazione dovuta dei dirigenti in materia (meglio se dico placet o exequatur .. è vero il tempo regio ecclesiastico è (?) trapassato) voluti a Monte Sant’Angelo da Alfano-Renzi&Co., hanno conferito a titolo gratuito al pensionato (o quiescente come si dice nell’Arma) Generale di C. A. dei Carabinieri, Sergio Sorbino, classe 1943, il mandato di occuparsi di “Cultura della Legalità” (termine che per primo ho scritto da alcuni anni ma che se detto da personalità viene enfatizzato,…chissà perché…) e “Sicurezza locale nella doppia accezione di contrasto all’illegalità e di tutela dell’incolumità delle persone”. Il tutto estendibile per un anno e ripeto gratuitamente. Il conferimento è ottemperante al D.L. n°90, art. 6, del 24/06/2014, poi convertito nella legge n° 114 che consente alla Pubbliche Amministrazioni di instaurare rapporti di collaborazione gratuita con personale in quiescenza o pensione qualsivoglia dicasi. 

Se scrivo solo ora questo mio articolo, o editoriale che sia, è perché ho voluto attendere che il Generale fosse stato presentato da chi lo ha investito e anche dalle forze politiche che attualmente (…chissà perché…) sembrano in sintonia con chi amministra straordinariamente il comune garganico. Monte Sant’Angelo, come qualcuno sommariamente ha detto, potrà avvalersi “della competenza e della professionalità” di un alto militare che nella sua carriera ha svolto “attività di prevenzione e contrasto della criminalità consentendogli di raggiungere importanti obiettivi culminati negli incarichi di Direttore delle operazioni antidroga e poi di Direttore fondatore del Servizio di Analisi Criminale del Ministero dell’Interno”. Nulla da eccepire giacché il Generale Sergio Sorbino merita questi appellativi, queste onorificenze, queste dimostrazioni di vicinanza e apprezzamento; i risultati son giunti. Ma l’attesa per questa pubblicazione è anche frutto di una mia riflessione: il 3 settembre si è ricordato il Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, un’icona, un simbolo della Legalità. Uomo tutto d’un pezzo e senza ombre e scheletrucci indiretti nell’armadio di famiglia, perciò pienamente degno di promuovere quella “Cultura della Legalità” tanto citata da chi politicamente ne fa uso e abuso in comunicati e convegni. Ma poi i fatti rivelano altro…

Bene! Tuttavia e se non erro la legalità va fatta perseguire da chi è senza macchia, vero? O meglio, si cerca  chi lo è, soprattutto per dar un segnale positivo alla comunità. Oddio, nessuno, compreso me, può scagliar la prima pietra. Ma in un contesto come Monte dove per anni si è parlato di faide, di mafia, di uccisioni, di corruzioni, di connivenze e collusioni, di… tutto e di più,  per poi essere ingigantito da una Commissione Parlamentare Antimafia pur di prevalere politicamente, mentre innanzi a essa si consumava Mafia Capitale con tanto di arresti eccellenti tra consiglieri e assessori di  parte, è  possibile che chi ha anche uno scheletruccio nell’armadio sia stata l’unica scelta per incoraggiare i Montanari alla legalità? Non me ne voglia il Gen. Sorbino, nulla di personale. Sono un giornalista e riporto le cronache, documentate, e la storia ci ha insegnato che per tal compito l’esempio è prioritario (vedi il Gen. Dalla Chiesa) ed avere un familiare impantanato con la legge non è un’amabile dimostrazione. La gente parla, specie nei piccoli paesi e laddove il termine Legalità è stato spesso martoriato da “stupri mediatici”. Le cronache nazionali raccontano di un problema che “affligge” il figlio del Generale, Stefano Sorbino, classe 1971, attuale Dirigente del Servizio “Area Tecnico - Operativa” della Direzione Corpo di Polizia Municipale di Catania, con funzioni di Vicecomandante.  Uomo di 45 anni, con una carriera da far invidia a molti, con incarichi di primaria importanza e onorificenze di tutto rispetto e il suo C. V. lo attesta positivamente. Sia chiaro Gen. Sergio Sorbino, ripeto nulla di personale e rispettosamente verso Lei, chi l’ha scelta sicuramente lo avrà fatto in base alle sue peculiarità tecniche, alla sua Illustre carriera e capacità in materia. Ma secondo me lo ha fatto tralasciando –spero- un particolare che molti della comunità Montanara non gradiscono, quel “ossa in familia cubiculum”, meglio conosciuto come quello scheletro di famiglia nell'armadio. Un particolare che in piazza e tra i vicoli di Monte sta facendo discutere ed io, giornalista, non posso non ascoltare e riferire a mezzo stampa. Infatti c’è chi è contento, chi non lo è, c’è chi tace e chi annuisce, chi non lo accetta razionalmente perché si rende conto che la comunità soffre, è scontenta, è sottoposta a sacrifici onerosi e che non intravedono migliorie laddove la Commissione Alfano-Renzi&Co., ora avvallata da quella della Bindi&Co., avrebbe voluto lasciare un segno sacrificando uomini non appartenenti alla loro sfera politica. Ma c’è anche chi accetta a prescindere tutto ciò che i Commissari deliberano, come un dictat politico più che ammnistrativo (ora anche con matrice della Commissione Bindi&Co.) voluto da una controparte politica che vorrebbe riprendersi Monte pur sapendo che molte cose già fatte dai tre Commissari non sono state gradite dalla popolazione locale perché giudicate non produttive per la collettività. Sig. Generale questo si dice a Monte, ma nessuno lo scrive e nessuno lo enuncia pubblicamente poiché da tempo un gioco- che considero perverso- prevale sulle menti popolari, ovvero quello di far spallucce. 

Riprendendo il tema di questo mio articolo, (lo scheletruccio…), è giusto ricordare l’accusa mossa contro il figlio, ribadendo che molti montanari avrebbero preferito al comando della Legalità chi è senza macchia, seppur indiretta, che nell’Arma è un valore imprescindibile, in politica un peccato mortale.

Facciamo qualche passo indietro. Non a caso ho iniziato scrivendo “Correva l’anno 2012, e precisamente il mese di gennaio (ben 4 anni e mezzo fa), quando alcuni media locali dell’Agro Romano e non solo, pubblicavano una notizia che a breve sarebbe diventata virale”. Notizia virale poiché trattasi di un impiego pubblico di alta responsabilità conferita a mezzo concorso ma con presunto difetto. 

Mettetevi comodi e seguite ogni passo del sunto che racconta le vicende del figlio del Generale, Stefano Sorbino, in modo da avere un quadro completo e capire fino in fondo cosa vuol dire Legalità, quando questa dev’essere amministrata, gestita, fatta rispettare e farla conoscere sotto forma di Cultura, da una persona senza colpe ma ombrata da un problema che socialmente fa parlare e sparlare. 

Secondo quanto riportano le cronache di allora, del 25 gennaio 2012, dal portale www.ilcorrieredellacitta.com, è scritto che Stefano Sorbino, allora Comandante della Polizia Locale di Pomezia, sarebbe stato rinviato a giudizio per la copertura dell’incarico in corso poiché, secondo alcuni, non disponeva dei cinque anni di servizio, requisito necessario secondo legge. A dir il vero la causa riguardava il dirigente comunale che lo aveva ammesso al concorso, poi denunciato alla Procura di Velletri dal secondo classificato in graduatoria. Sorbino giustamente si difese e alla fine la causa cadde in prescrizione. Ma quando dal 17 marzo 2014, a tutt’oggi, prese servizio presso Catania come Vicecomandante della Polizia Municipale intorno a lui si è costituito un chiacchiericcio sulla giustezza del conferimento. Difatti, come riportato in un articolo del portale www.ienesiciliane.it (“Scoop Iene, Catania Comune: la vicenda del vicecomandante della “Municipale”. Che non dovrebbe stare là”) in data 12 giugno 2014 si evidenziò il problema legale che avrebbe visto Sorbino figlio non conforme alle regole per la copertura di quell’incarico. Nell’articolo è scritto che Sorbino avrebbe “prodotto all’amministrazione comunale la sentenza conclusiva di un vecchio procedimento penale (avviato in merito alla procedura che lo ha portato a ricoprire la carica di comandante a Pomezia) nel quale è rimasto coinvolto: procedimento finito con la dichiarazione di prescrizione”. Secondo le leggi vigenti per la copertura dell’incarico in essere il candidato “non deve aver riportato condanne penali con sentenza passata in giudicato e non avere pendenti a proprio carico procedimenti penali che comportino, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, la destituzione del rapporto di lavoro con la P.A.” Sempre dal portale in oggetto possiamo desumere il perché del problema legale in questione, ovvero che “Questo significherebbe che al momento della presentazione della domanda era pendente per lui un procedimento penale: per questo non poteva essere ammesso alla procedura di mobilità, ma addirittura  la tipologia di reato prescrive l'immediata destituzione dall’incarico.” In altre parole, come ha scritto il portale ienesiciliane.it Stefano Sorbino “ha vinto il concorso il cui bando era stato pubblicato il 27 gennaio 2012 sulla Gazzetta Ufficiale della Regione.  La procedura di mobilità per la copertura, attraverso una selezione per titoli e colloquio, di un posto di vicecomandante era stata avviata dal comune di Catania nel giugno del 2012. Dopo che l’amministrazione Bianco ha approvato, nel luglio del 2013, il programma triennale del fabbisogno di personale che prevedeva questa assunzione, la procedura ha potuto avere corso.” Ma in data 01 luglio 2014, sempre il portale ienesiciliane.it ha scritto un articolo dove riporta una svolta importante del procedimento. Nel portale si legge testualmente che “Il 24 giugno scorso, si è tenuta, presso il Tribunale del lavoro di Catania, l’udienza, con procedura d’urgenza, che vede come attore Giovanni Magrì assistito dallo studio legale Fresta/Caudullo e come convenuto il comune di Catania (per il sindaco), la commissione di esami e Stefano Sorbino, il neo vicecomandante dei vigili urbani di Catania (alla guida di Viabilità e dell’Annona) e vincitore del relativo concorso, oggetto del ricorso… Alle precise rivendicazioni dei due procuratori del ricorrente, il legale del comune di Catania ha replicato sostenendo la legittimità dell'operato della commissione. Ma non solo: in sede di discussione è emerso che il neo vice comandante dei vigili urbani ha omesso di citare nella sua domanda di partecipazione al concorso che era, all’epoca dei fatti, sopposto a procedimento penale. A conferma di questo assunto, è stata prodotta in giudizio la domanda in copia di Sorbino e la sentenza del Tribunale di Velletri che ha assolto il neo vice comandante per prescrizione dall’accusa di concorso nel reato di abuso d’ufficio (che avrebbe determinato la vittoria al concorso per comandante della "municipale" di Sorbino presso il Comune di Pomezia), chiedendo al giudice di valutare l'opportunità di procedere alla trasmissione degli atti citati alla Procura della Repubblica di Catania. Il giudice si è riservato ordinanza.” Insomma, come ha precisato il portale ienesiciliane.it, quella mattina a Catania “la legalità a Catania ha mostrato tutta la sua vigente forza. D’impeto”. Come ben sappiamo i tempi della giustizia italiana sono elastici, anche troppo, e nel frattempo chi le deve o dovrebbe qualcosa continua nel suo operato. “Non c’è “periculum in mora” secondo i giudici del Tribunale del lavoro, di primo e secondo grado, in sede di procedura d’urgenza (cosiddetto “articolo 700”): il dott. Giovanni Magrì, ufficiale di polizia giudiziaria presso la Procura distrettuale della Repubblica di Catania, può attendere il giudizio di merito. Tradotto: anni e anni. La “giustizia” arriverà? Forse, magari quando arriverà non servirà a nulla. Questo, per il momento, è lo “stato dell’arte” nella causa che Magrì ha intentato, con ricorso, contro il comune di Catania, la commissione esaminatrice procedura di mobilità, e il dott. Stefano Sorbino, vice comandante della “municipale” di Catania, vincitore del concorso, oggetto del contenzioso. Anche in sede di reclamo, il tribunale ha dato torto a Magrì: niente “periculum” in mora, insomma nessun “danno irreparabile” –secondo i giudici- per il ricorrente. Che ne occupino i giudici di merito.” è quanto scritto, ancora, dal portale ienesiciliane.it in un articolo intitolato "Diritto alla catanese, concorso per Vicecomandante della "Municipale": per i giudici non c'è "danno irreparabile". la giustizia può attendere". Ora, quali sono i giudici di merito? Qui stiamo parlando di un problema legale strettamente connesso a procedure scritte nelle leggi per ricoprire un posto di lavoro e il “periculum mora”, ovvero il pericolo/danno causato dal ritardo, per la parte lesa che vorrebbe essere riconosciuta la piena legittimità della carica pubblica e perciò i propri diritti minimi ai fini del concorso, una volta decaduto, perciò non accolto dal Tribunale, potrebbe innescare altre cause quali per esempio sull’aspetto economico o sociale, perfino sul piano familiare e personale. Cause o concause che vedrebbe la «parvenza di buon diritto», il “fumus boni iuris”. È come dire che se non possono essere riconosciuti i diritti ai fini concorsuali, il procedimento non dovrebbe generare altri danni. Insomma, parvenza per una giustizia su misura. 

So bene che mi sono dilungato, chiedo venia, ma certe cose vanno dette, fatte conoscere a tutti i Montanari che tra un anno dovranno decidere chi li deve amministrare. E lo devono fare con razionalità e conoscenza. Chi è stato defenestrato da Alfano-Renzi&Co., con il proseguo e “proseliti” della Bindi&Co. (cosa che non è avvenuta a Roma per Mafia Capitale pur essendoci arresti illustri e di parte con mansioni governative cittadine) ha il sacrosanto dovere di riavere quella dignità rubata. I tribunali stanno valutando e ad oggi danno ragione agli ex di Piazza Roma, meno a chi dirige. 

Non me ne voglia il Generale Sergio Sorbino; a lui va la mia stima e gli auguri di buon lavoro. Stesso dicasi per il figlio Stefano che si attiene alle decisioni della Legge. Ciononostante, e la quotidianità ce lo insegna, la Legge spesso non è in simbiosi con la Giustizia, a volte è in osmosi, che figurativamente parlando manca di intima associazione tra loro, prevalendo a volte con la reciproca compenetrazione di idee, spesso influenzate da comportamenti di persone o gruppi diversi ma che esercitano la loro forza, morale, politica, culturale, sociale, religiosa, l’uno sull’altro. Ma i Montanari di Monte Sant’Angelo devono sapere giustamente per trasparenza e Legalità soprattutto, se vogliamo farla diventare Cultura. 





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