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Estero. Trump anno uno: poche luci, molte ombre

Il Presidente USA Donald Trump. (foto web) ndr.

di Domenico Maceri

LOS ANGELES (USA), 2 GEN. - Citando la Fox News Donald Trump in un tweet ha detto che è impossibile “verificare le affermazioni di collusione Trump/Russia” e che la “Fbi è corrotta”. Sembra un messaggio di campagna elettorale ma il 45esimo presidente lo ha mandato qualche giorno fa dopo avere completato il primo anno alla Casa Bianca. L'inaspettata vittoria nel 2016 continua a dominare i dubbi sulla legittimità del 45esimo presidente specialmente considerando l'ombra del Russiagate. Ciononostante Trump ha nel male e nel bene completato un anno da presidente. Tirando le somme il Paese si trova economicamente bene ma sotto molti altri aspetti non si vedono che ombre. L'economia ha continuato a migliorare soprattutto guardando i risultati di Wall Street con un 25 percento di aumento della Dow Jones. 
La disoccupazione è scesa dal 4,8 al 4,1 percento. Si tratta di numeri che dovrebbero fare piacere al presidente il quale li potrebbe citare ad nauseam per dimostrare che siamo sulla strada giusta. Trump dice molte cose contraddittorie ma per potere vendere la sua riforma fiscale con tagli alle tasse delle corporation e dei benestanti non ha spinto molto sul tasto positivo dell'economia. La riforma fiscale è stata venduta come sprone all'economia e quindi bisogna giustificarla come necessaria per migliorarla. Il fatto che le corporation e i benestanti continuano a possedere montagne di soldi non quadra con la necessità di ridurre le tasse. La parte dell'economia che richiede attenzione verte sulla diseguaglianza che a Trump interessa poco. C'è poi l'aspetto politico della riforma fiscale. Con la maggioranza di ambedue le Camere e il controllo del potere esecutivo i repubblicani dovevano dimostrare di potere governare ed avevano bisogno di una vittoria. Dopo avere fallito clamorosamente con la revoca dell'Obamacare, silurata al Senato da tre repubblicani, la riduzione delle tasse era il facile gol da segnare dato che i tagli alle imposte fanno piacere a tutti i repubblicani. La riforma fiscale è però poco popolare con gli americani. L'approvazione si aggira sul 25-30 percento secondo parecchi sondaggi. 
In effetti, l'americano medio la vede per quello che è, un regalo ai benestanti. Queste cifre di popolarità si avvicinano a quelle sull'operato di Trump (32-35 percento), numeri bassissimi specialmente se si considera lo stato dell'economia. In linee generali, quando l'economia va bene il presidente riceve il credito anche se il suo impatto potrà essere stato poco influente. Trump infatti ha ricevuto una situazione economica dal predecessore Barack Obama in buono stato. Il 44esimo presidente, invece, aveva ricevuto un'economia a brandelli da George W. Bush. Dopo otto anni di Obama l'economia si trova sulla strada giusta e Trump merita credito per non averla rovinata. Trump però ha fatto parecchio dal punto di vista sociale a spingere in una direzione negativa. Quando un presidente viene eletto cerca subito di sotterrare la campagna politica e cerca di unificare il Paese sorridendo non solo a quelli che lo hanno votato ma anche a quelli che hanno scelto il suo avversario. Trump non ha dato segnali in questa direzione. Infatti, i suoi continui tweet e i suoi comportamenti spesso poco presidenziali ci ricordano gli atteggiamenti della campagna elettorale. 
I suoi fedelissimi continuano ad approvare il suo operato ma non è riuscito ad ampliare il suo supporto con gli indipendenti per non parlare dei democratici. Trump merita credito per avere mantenuto alcune delle sue promesse come ci confermano le sue nomine di giudici. Spicca in questo senso la conferma di Neil Gorsuch alla Corte Suprema che si sta dimostrando conservatore, poco diverso dal suo predecessore Antonin Scalia. In politica estera il 45esimo presidente ha poco da additare come successi. L'abbandono dell'accordo di Parigi sul riscaldamento globale e quello del TPP, Trans-Pacific Partnership, e la sua spavalderia nella situazione con la Nord Corea faranno sorridere i suoi fedelissimi ma non rassicurano affatto gli alleati americani. La politica estera di Trump ha seguito la sua linea isolazionista di “America First” basata sul concetto che gli altri Paesi si sono approfittati degli Stati Uniti. Il 45esimo presidente sembra non capire che gli Stati Uniti sono il potere globale e come tale non si possono permettere di abbandonare gli alleati anche perché crea spazio ai nostri avversari come la Russia e la Cina a occupare il vuoto politico internazionale. Nessuna luce per la pace nel Medio Oriente il cui compito era stato dato a Jared Kushner, genero di Trump. 
La situazione è peggiorata infatti con la dichiarazione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Le Nazioni Unite hanno condannato l'annuncio e Trump ha reagito tagliando i contributi americani all'organizzazione internazionale, confermando i suoi atteggiamenti di leader immaturo. In sintesi, dopo un anno di Trump alla Casa Bianca, il Paese e il mondo sono meno sicuri per la volubilità del 45esimo presidente. Il pericolo maggiore però rimane nell'incapacità di Trump di accettare la realtà obiettiva e di interpretare gli eventi con il suo filtro di narcisista. Tutto ruota intorno a lui. Se qualcosa non gli va bene lui addossa la responsabilità ad altri spesso attaccando le istituzioni del Paese come la Fbi, la Cia, il potere giudiziario, e spesso anche i leader del suo partito. L'unica eccezione è Vladimir Putin. Il leader russo ha detto più d'una volta a Trump che il suo Paese non ha interferito sull'elezione americana. Trump lo crede dimenticando che Putin è un ex agente della KGB. È strano che il presidente abbia più fiducia in un ex agente della KGB invece delle autorità americane che lavorano per il Paese. 
È possibile dunque credere Trump?



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