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Apre l'Università di Dadaab, primo ateneo per rifugiati

di Redazione
BARI (MISNA) - “I corsi cominceranno ufficialmente a gennaio, ma le iscrizioni sono aperte. Io studierò scienze della comunicazione, voglio diventare giornalista”: è orgoglioso Mohammed Bashir Sheikh, rifugiato somalo nel campo profughi di Dadaab, mentre racconta alla MISNA della prossima apertura di una sede distaccata della Kenyatta University. “Si tratta del primo progetto per l’apertura di un’università in un campo profughi” dice Bashir Sheikh, blogger e responsabile di un centro internet a Dadaab, che con i suoi 470.000 residenti costituisce la terza città più grande del Kenya e il più grande campo profughi del mondo. “Sono arrivato a Dadaab quando avevo quattro anni e mezzo. Ho vissuto più tempo qui che nella mia città di origine, Kismayo, in Somalia” racconta il blogger venticinquenne alla MISNA, sottolineando che “creare un’università in un campo profughi ridona la speranza a molti dei giovani che ci abitano di potersi costruire un futuro diverso”. L’Università di Dadaab accetterà due terzi di iscritti dal campo profughi e un terzo dalle popolazioni dei villaggi locali, per non acuire tensioni già esistenti tra le due comunità, alimentate dalla continua espansione del campo nel territorio. Solo nel corso del 2011 la popolazione di Dadaab in seguito al conflitto somalo e alla grave siccità che ha investito tutto il Corno d’Africa è aumentata di 160.000 unità, ovvero un terzo del totale. Ai donatori esteri sarà consentito attraverso programmi speciali di pagare le classi ai giovani che mostrino particolare propensione agli studi. “L’educazione è come il cibo, l’acqua. Deve essere riconosciuta come un diritto per questi ragazzi che conoscono solo guerra e miseria. Invece sono sempre di più quelli che abbandonano gli studi e per quelli che rimangono le aule sono stracolme, con più di cento bambini per aula” afferma ancora il blogger. L’ateneo consentirà di conseguire diplomi di laurea e master in campo economico, letterario e sociale. “Speriamo costituisca un incentivo per i ragazzi a continuare a studiare - sospira Bashir Sheikh – e a non abbandonare il sogno di un futuro migliore”.



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