Il mercato del falso vale 6,9 miliardi e ne sottrae 1,7 al fisco
di Redazione
ROMA (ITALPRESS) – Il fatturato del mercato del falso nel nostro Paese vale 6,9 miliardi di euro. I settori più colpiti sono l’abbigliamento e gli accessori (2,5 miliardi di euro), il comparto cd, dvd e software (1,8 miliardi di euro) e i prodotti alimentari (1,1 miliardi di euro). La stima emerge da una ricerca realizzata dal Censis per il ministero dello Sviluppo Economico sull’impatto della contraffazione sul sistema-Paese, presentata oggi a Roma.
Se i prodotti contraffatti fossero venduti sul mercato legale si avrebbero 13,7 miliardi di euro di produzione aggiuntiva, con conseguenti 5,5 miliardi di euro di valore aggiunto. La produzione aggiuntiva genererebbe acquisti di materie prime, semilavorati e servizi dall’estero per un valore delle importazioni pari a 4,2 miliardi di euro. E la produzione complessiva degli stessi beni in canali ufficiali assorbirebbe circa 110.000 unità di lavoro a tempo pieno.
Il mercato dei prodotti contraffatti genera un mancato gettito fiscale di 1,7 miliardi di euro. Riportare sul mercato legale la produzione dei beni contraffatti significherebbe anche avere un gettito aggiuntivo per imposte dirette e indirette (compresa la produzione indotta) di 4,6 miliardi di euro.
“A costituire una seria minaccia per il sistema produttivo italiano non è solo la contraffazione dei marchi, ovvero la riproduzione e commercializzazione di articoli che recano illecitamente un marchio identico a uno registrato – sottolinea il Censis -. Perché sul mercato del falso sono altrettanto diffusi altri illeciti. Come la contraffazione di design, ovvero la riproduzione e commercializzazione di articoli che costituiscono copie illecite di prodotti sulla base di modelli o disegni registrati”.
“Questo fenomeno colpisce soprattutto la pelletteria, ma anche gli oggetti d’arredamento, per l’illuminazione, i casalinghi. C’è poi l’abuso dell’indicazione di origine made in Italy e di analoghe indicazioni: si spacciano per italiani prodotti che hanno in tutto o in parte origini diverse – evidenziano i ricercatori -. Questo fenomeno interessa soprattutto il settore alimentare, ma colpisce anche quello delle calzature, altrettanto esposto all’‘Italian sounding’. C’è poi il fenomeno dell’importazione parallela, ovvero la commercializzazione in Italia di prodotti destinati a un Paese diverso ma venduti da noi, attraverso canali non ufficiali, a prezzi inferiori a quelli normalmente praticati. Riguarda, ad esempio, il settore dei cosmetici”.
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