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'La Buona Politica' - Pressione fiscale: il male dei mali, una storia tutta italiana

L'Euro coinvolto nella politica fiscale italiana. (foto com.) ndr.

di Cosimo Imbimbo 

BARI, 6 MAG. - In economia con pressione fiscale si intende l'indicatore percentuale che misura il livello di tassazione medio di uno stato, di un'entità geografica o di un sottoinsieme della popolazione. È un parametro che spesso è tenuto in conto o deriva da scelte del governo in materia di politica fiscale. Tutti d'accordo sugli alti significati, ma chi ci spiega una così elevata pressione che nei primi mesi del 2013 ha toccato il 52%. Il nostro Paese sta attraversando uno dei più gravi periodi di stasi economica. 

La riforma fiscale potrebbe essere l'occasione per ricostruire un patto di fiducia fra Stato e cittadini, basato su un più intenso utilizzo di strumenti di “compliance” per l'emersione progressiva della base imponibile e sulla riduzione sensibile della pressione fiscale sul lavoro e sull'impresa. A calcolare il dato questa volta non è un’associazione «di parte». Nessun calcolo “spannometrico”. I numeri sono ufficiali, certificati e diffusi dall’Istat. L’Istituto di statistica per la prima volta ha misurato il carico del fisco, o meglio il rapporto tra l’ ammontare delle imposte (compresi i contributi sociali) e il Pil, anche sui trimestri e non solo sul totale dei 12 mesi. Così si è scoperto che gli ultimi tre mesi dell’anno - ma «pantalone» lo sapeva già - sono quelli dannatamente peggiori per le tasche dei contribuenti. I bilanci familiari devono vedersela oltre che con disoccupazione, cassa integrazione e stipendi bloccati anche con tutte le diverse imposte che sommate vanno a corrodere il già magro budget a disposizione. E da un anno all’altro la situazione è sensibilmente peggiorata: basti pensare che dall’ultimo trimestre del 2012 all’ultimo del 2011 l’aumento della pressione fiscale è stato di 1,5 punti percentuali. Per il sindacato guidato dal segretario generale Susanna Camusso , le tasse sono sì alte, ma non proprio per tutti: "Per i redditi fissi, quelli da lavoro e da pensione, è altissima e a livelli insostenibili", ha spiegato il segretario confederale Danilo Barbi. 

Da questo quadro sintetico della fiscalità, le imprese personali restano quelle che devono confrontarsi con una “pressione fiscale effettiva” insostenibile. Le tasse sono infatti inefficienti, con poche eccezioni, perché togliendo risorse a chi le produce riducono gli incentivi a creare, produrre, investire, lavorare. Alcune tasse sono più inefficienti di altre: le imposte dirette in genere più di quelle indirette, quelle sulle transazioni più di quelle sui patrimoni. L’Italia ha una tassazione sul capitale abbondantemente sopra la media europea. Per l’Eurostat è ai primi posti in Europa, per la Banca Mondiale si piazza al primo posto tra i paesi industrializzati. Le differenze tra le classifiche dipendono dalle definizioni: Eurostat ne riporta tre, a seconda se si considerano o meno le imposte patrimoniali, o se si pone attenzione ai lavoratori autonomi oppure alle società di capitali. Comunque vada, l’Italia è messa molto male. Per quanto riguarda questa devastante situazione nel suo complesso, si osserva una rilevante dispersione, in cui ai due estremi si raggruppano i paesi nordici – ai quali tradizionalmente vanno associati livelli di tassazione e welfare elevati – e i nuovi paesi membri, tutti sotto la media Ue. La pressione fiscale in Italia risulta complessivamente in linea con la media degli altri paesi europei fino al 2005, mentre successivamente se ne distanzia con valori più elevati, in controtendenza rispetto al trend decrescente del dato complessivo Ue. 

È da considerare che il valore particolarmente elevato dell’indicatore riferito al 2009, oltre che l’ effetto della dinamica negativa del Pil, risente di alcune misure straordinarie riferibili sostanzialmente alle imposte in conto capitale, quali i prelievi operati in base al cosiddetto “scudo fiscale” e i versamenti una tantum dell’imposta sostitutiva dei tributi, che hanno interessato alcuni settori dell’economia e in particolare quello bancario. Nel 2010 la pressione fiscale registra una riduzione di 0,5 punti percentuali, attestandosi al 42,6 per cento, valore che rimane costante nel 2011. Con riferimento alle maggiori economie europee, nel 2011 in Germania, Spagna e Regno Unito la pressione fiscale risulta inferiore alla media Ue, mentre in Francia supera di oltre 6 punti percentuali questo valore. Lo studio sembra una macchina del tempo. I redditi sono scesi ai livelli di 27 anni fa, il 1986, a 16.995 euro. I consumi torneranno indietro di 15 anni, al 1998. L'economia italiana nell'ultimo anno è stata un campo di battaglia su cui sono cadute 216 mila imprese. Certo, ne sono nate anche 150 mila, ma il saldo è negativo per circa 70 mila. il governo Monti? Ha fatto bene nella messa in sicurezza dei conti, risponde il presidente di Rete Imprese Italia, Carlo Sangalli, "ma il prezzo è stato salatissimo".Dobbiamo però stare attenti a capire cosa si intende per “pressione fiscale”, in quanto, volendo confrontare paesi tra loro diversi dobbiamo “unificare” diversi sistemi fiscali. Cosa che al momento appare "missione impossibile". 

Ecco che assistiamo, volendo fare degli esempi concreti: i servizi che lo Stato italiano fornisce ai suoi cittadini hanno un valore pari a circa 4800 euro, mentre Germania e Francia forniscono servizi per un “controvalore” pari a 7800 euro (questi valori sono presi considerando la differenza tra il servizio pubblico e l’equivalente del servizio privato, quindi se una prestazione sanitaria ospedaliera costa 20 euro, mentre la stessa prestazione a livello privato costa al cittadino 100, allora lo stato è come se restituisse 80 euro al cittadino. “Se non torniamo a crescere ad un tasso nominale di almeno il 2-3% annuo – osserva Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili – soffocheremo il Paese sotto il peso di una pressione fiscale che farà fuggire all’estero tutto quello che potrà fuggire: imprese, talenti individuali, patrimoni finanziari. D’altro canto, se oggi non sistemiamo i conti con ricette dolorose, ma indubbiamente concrete come quelle da ultimo adottate dal governo Monti, non torneremo a crescere per il semplice fatto che non avremo alcun futuro”. Allora si che saranno dolori di pancia, non riuscendo a capire dove, come e quando si potranno recuperare risorse economiche per tirare avanti. In conclusione tiriamo in ballo anche la buona Orietta Berti "Finchè la baraca va...".





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