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'La Buona Politica' - Enrico Mattei. Martire e predatore di orizzonti di sviluppo e prosperità

Enrico Mattei. (foto com. ) ndr.

di Cosimo Imbimbo 

BARI, 10 GIU. - Enrico Mattei (Acqualagna, 29 aprile 1906 – Bascapè, 27 ottobre 1962) è stato un imprenditore, politico e dirigente pubblico italiano. Nell'immediato dopoguerra fu incaricato dallo Stato di smantellare l'Agip, creata nel 1926 dal regime fascista; ma invece di seguire le istruzioni del Governo, riorganizzò l'azienda fondando nel 1953 l'ENI, di cui l'Agip divenne la struttura portante. Mattei diede un nuovo impulso alle perforazioni petrolifere nella Pianura Padana, avviò la costruzione di una rete di gasdotti per lo sfruttamento del metano, e aprì all'energia nucleare. 

Incarnando perfettamente la parte del personaggio potente all'italiana, Mattei è riuscito poi a far apparire l'intera conduzione del colosso di Stato che dirigeva, ma anche ogni singola sua azione, come qualcosa di misterioso e inspiegabile, frutto di una politica internazionale lanciata alla rottura ma perfettamente inserita in un fitto tessuto di potere e parentele, tuttavia derivazione di una mente capace di vivere lasciandosi guidare dai sentimenti del progresso e dell'emancipazione. Amplificati dal tempo che passa, questi tratti umani, segno di forza e insieme di corruzione, hanno proiettato e reso materiale un vero e proprio mito cui hanno dato forza e consistenza tutti coloro che avendone fatto parte ne hanno, con le loro memorie, reiterato il ricordo. È però interessante tentare di raccontare e spiegare la storia così affascinante di questo uomo rivolgendosi in particolar modo alle vicende internazionali che egli volle con tutte le sue forze e che potremmo dire furono all'origine di tanti dei suoi problemi. Come tutte le persone capaci di influenzare profondamente il tempo che hanno vissuto, anche Enrico Mattei ha generato sentimenti contrastanti e opposti. Era uno di quegli uomini che si amano o si odiano, si approvano o rifiutano. Apparentemente incurante delle inimicizie che andava provocando con il suo atteggiamento, dentro e fuori l'Italia, perseguiva il suo piano di crescita e conquista facendo affidamento sulle molte amicizie potenti che poteva vantare non solo negli ambienti democristiani. 

Facendo leva sui meccanismi dell'informazione e della propaganda, sistemi di affermazione della politica nelle democrazie, l'industriale marchigiano e i suoi alleati organizzarono un complotto che permise all'Agip di realizzare il suo progetto di crescita e guadagno. All'indomani della presentazione del progetto di legge Lombardo, era il giugno '49, partì una vera e propria campagna di stampa con la quale il Corriere della Sera pubblicizzò la notizia del ritrovamento, a Cortemaggiore, di un vastissimo giacimento di petrolio. Il presidente dell'Agip, Boldrini, lo stesso Mattei e la redazione del quotidiano milanese non risparmiarono il loro impegno e riuscirono a far credere a tutta l'Italia che finalmente il paese avrebbe potuto disporre di greggio proprio. Le azioni dell'Anic, che avrebbe subito il carico di lavorare, nelle proprie raffinerie, il petrolio di Cortemaggiore volarono in borsa per poi subire continui ribassi. La stampa di sinistra con in testa l'Unità si avventò contro quella che sembrava una truffa facendo proprio quanto Mattei e Vanoni speravano: dare risalto alla notizia. Fu in quei mesi un intrecciarsi di speculazioni di borsa, manipolazioni della stampa accompagnati da comportamenti apparentemente inspiegabili di tutti i protagonisti. Lo storico Giorgio Galli spiega chiaramente che la chiave per capire quanto stava accadendo non era nel presunto giacimento di Cortemaggiore ma piuttosto in quelli metaniferi. Rispettato, temuto, minacciato più volte di morte, Mattei è deciso a combattere i “quattro miliardari” che decidono come muovere i fili legati alla sorte di miliardi e miliardi di esseri umani. 

Li definisce proprio così “quattro miliardari” prepotenti: ha sbalordito sentire la sua definizione, riportata magistralmente dall’interpretazione di Gian Maria Volontè, perché sono gli stessi “quattro ometti” citati più volte dalla sottoscritta in precedenti opinioni inviate al giornale molti anni più tardi. Dal 1962 ad oggi sono trascorsi più di quarant’anni, dal film-dossier di Rosi una decina in meno ma ciò che dice Mattei ad un giornalista che lo accompagna fra i pozzi petroliferi africani sembrano parole pronunciate appena, appena pochi giorni fa, più o meno dice così: “Se non sarò io a fermarli (gli alleati d’oltre oceano, dei quali, credo, nessuno ha dimenticato o rinnega l’aiuto nell’ultima guerra, anche se ampiamente compensato, ma ciò non vuol dire divenirne i vassalli e condividere sempre e comunque metodi, comportamenti, regole, criteri) saranno i popoli che camminano su queste terre nel cui ventre scorre l’80% del petrolio mondiale. Mattei muore, forse, in un incidente. Mauro De Mauro scompare misteriosamente. C’è chi afferma che, forse, è stato ammazzato per il caso Mattei. L’aeroplano, un Morane Saulnier, che avrebbe dovuto riportare l’ingegnere a Milano e da lì a pochi giorni in Algeria per firmare un accordo sulla produzione petrolio scomodo per le “sette sorelle”, si schianta nei cieli della Val Padana e c’è chi dice che è stato sabotato. Sono tempi in cui soffiano venti di guerra, c’è chi dice che a causarli è il protagonista dei protagonisti “il petrolio” e la prepotenza, mai sopita, di chi ancora crede di poter egemonicamente governare il mondo. Il pensiero e la volontà di Mattei e di uomini come lui, forse, avrebbero ostacolato o cercato di evitare i risultati di questo presente tormentato dagli orrori e dallo stesso pericolo, forse ancor più pericoloso, in cui tutto il mondo fu minacciato nel lontano 1962: la guerra. Saremo capaci di evitarlo per una volta ancora? Sapremo sconfiggere le cause ed i misteri che tormentano gli italiani e l’umanità? Forse. 

Certamente l’Italia, come altri paesi, ha avuto i suoi martiri e forse ancora ne avrà. Personalità eccezionali la cui memoria dovrebbe prendere il sopravvento su pericolose amnesie, troppe amnesie. C’è qualcuno in Italia e nel mondo che si ricorda dell’Ingegnere Enrico Mattei? Forse. Non saranno i troppi “forse” ad aver determinato l’abisso in cui è sprofondato il mondo intero? Nel lontano 1962, in Sicilia, nel constatare l’accoglienza di grande affetto, rivolta al presidente dell’Eni, il giornalista inglese William Mc Hale che lo accompagnò, poi, nel suo ultimo viaggio, affermò: “Lei, presidente, è molto amato dalla gente...”, “sì”, rispose Mattei, “dalla povera gente si…”. Enrico Mattei, definito dalla stampa dell’epoca, l’uomo più potente d’Italia dopo Giulio Cesare, muore il 28 ottobre 1962, schiacciato dalla colpa d’aver cercato di contribuire alla costruzione di un mondo più giusto per tutti e nella convinzione che ciò è possibile. Se non in termini assoluti, quanto meno, cercando di avvicinarsi il più possibile eliminando gli orrori, bandendo le arroganze e le prepotenze, senza né-né- o nì-nì, ma con un No fermo, deciso, intelligente, umano. Un criterio, oggi come allora, definito “infantile e utopistico” (Merlo - Corriere della Sera del 3 febbraio u.s.). C’è chi continua, invece, a “giocare” con uno strumento demenziale quanto folle, ritenendolo inevitabile, e preventivo. Uomini come Mattei non hanno avuto niente d’infantile ma sono stati grandi uomini rimanendo “bambini” dopo aver conosciuto l’arroganza dei “grandi” che offende, insulta, mortifica e distrugge il vero significato di definirsi uomini. 

Sicuramente l’Ingegnere Mattei amava l’Italia e amava gli italiani, soprattutto amava l’umanità, non a caso uno dei suoi pensieri era di contribuire allo sviluppo dei popoli produttori del così detto “oro nero”, ostacolando la politica (anche italiana) che permetteva benefici solo per i paesi consumatori del petrolio, che, come lui sosteneva, era la causa di tutte le rivoluzioni, guerre, colpi di stato e soprattutto fame e morte per miliardi e miliardi di esseri umani.





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