'La Buona Politica' - Marcel Proust: alla ricerca dell'autore dimenticato
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Marcel Proust. (foto com.) ndr. |
di Cosimo Imbimbo
BARI, 9 SET. - Nel mondo contemporaneo, dove la fobia dell'avere mal si concilia con la genuina ragione dell'essere, sovente e forse volutamente, dimentichiamo autori e straordinari testi che tanto hanno contribuito allo sviluppo in senso socio-culturale di questo mondo. Parliamo di Marcel Proust che nasce nel 1871 ad Auteuil, Parigi, in una famiglia della buona borghesia Suo Padre è medico, sua madre di famiglia ebrea, ricca e colta. Dopo la morte del padre (1903) e soprattutto della madre (1905), Marcel Proust ricercò una solitudine sempre più rigorosa, interrotta da brevi riapparizioni in società , e dagli incontri con pochi amici e letterati. Per dedicarsi alla grande opera che doveva intitolarsi 'À la recherche du temps perdu' (Alla ricerca del tempo perduto), trascorse la maggior parte del tempo, a parte i soggiorni estivi a Cabourg (Normandia), segregato in una camera con le pareti rivestite di sughero, particolarmente attrezzata per proteggersi dagli odori e dai rumori che avrebbero potuto turbare il suo sempre più precario equilibrio fisico e psicologico.
Alcuni autori hanno il potere di "ricreare il pensiero". E - come ha affermato il filosofo francese Gilles Deleuze - c'è qualcosa di straordinario nella maniera in cui ci dicono: “pensare non significa quello che credete”. Marcel Proust, l’autore di Alla ricerca del tempo perduto, ha ridisegnato il pensiero e la nozione stessa di che cosa significhi pensare. La figura dello scrittore parigino , singolarmente intrecciata alla finzione dei personaggi del suo romanzo, ha sempre suscitato una certa curiosità un po' superficiale, legata alla iconografia della sua opera, alle facce dei suoi modelli, uomini facilmente riconoscibili dietro i nomi inventati della Recherche, tanto più che spesso erano esponenti di rilievo del bel mondo di una Francia belle-epoque. La ricerca della fotografia della duchessa di Guermantes, alias contessa di Gref-fuhle, o dell'enigmatico barone di Charlus, duca di Montesquiou, o di quel meraviglioso personaggio di Swann-Haas è, in ultima analisi, solo una forma di pettegolezzo un po' più raffinata della media. Chissà se Proust immaginava di scatenare nei posteri, oltre che nei suoi contemporanei, questa curiosità d'alta classe? Probabilmente sì, ma con sicurezza non amava l'idea che il suo nome di scrittore rimanesse legato agli eventi della sua vita, se non per il filo esile, eppure tenacissimo della sua opera. Per quello che ci riguarda geograficamente più da vicino non dimentichiamo il 1900 è l'anno dei viaggi in Italia, soprattutto a Venezia, dove compie una sorta di pellegrinaggio ruskiniano, una verifica dal vivo delle teorie estetiche del critico inglese, oltre che incontrarsi per la prima volta dal vero con il mondo della pittura italiana, soprattutto giottesca.
Questi viaggi alla ricerca dei grandi momenti dell'arte europea sono un tratto fondamentale dello stile di vita di Proust e si rinnoveranno, fin tanto che gli sarà possibile muoversi e affrontare le fatiche di lunghi trasferimenti. Si può aggiungere che Proust aveva una concezione sentimentale del viaggiare, come risulta dal paragone generalizzato per le città nominate ed evocate: «Il desiderio che esse accendevano in me, sembrava qualcosa di profondamente individuale, quasi si fosse trattato di un amore, di un amore per una persona». In questa affermazione forse si coglie il motivo per cui Proust ha sempre viaggiato in compagnia di persone che amava: la madre, Reynaldo Hahn, Bertrand de Fénelon ecc. «Proust non ha mai viaggiato solo», ha scritto Jean-Yves Tadiè. Mi permetto di osservare che ciò non è del tutto vero; almeno un viaggio, da solo, lo ha fatto: il secondo viaggio a Venezia, nel 1900 (da solo quella volta, per motivi... inconfessabili). Nemico di ogni biografismo, ostile alla ricerca pettegola o benevola sulla vita del creatore, di cui deve far fede solo la sua creatura, Proust sembra aver ammonito, in uno dei suoi scritti critici in particolare, il Cantre Sainte-Beuve, a guardarsi da qualsiasi ricerca biografica su di lui, al di fuori o al di là della sua opera. E, leggendolo profondamente e accuratamente, penetrando la sostanza sottile come una madrcperla della « Recherche », andando a scavare alla base di questa gigantesca cattedrale di parole, emerge e si delinea, prima appena accennata, poi sempre più ferma e nitida, la figura, nella Parigi dei primi del '900, elegante, raffinatissimo, un po' dandy e permaloso.
E' il quadro sommario che di lui si era fatto Andre Gide, il quale, dopo una lettura (o una non lettura, la cosa è ancora controversa) superficiale del primo libro della Recherche proposto dall'autore per la pubblicazione sulla Nouvelle Revue Francaise, si era tirato indietro, leggermente disgustato dal tono troppo estetizzante, dalla tematica frivola e mondana di questo affresco di vita parigina. Interessante poi la divagante argomentazione trova poi un altro bersaglio: l'amicizia. Senza dubbio, sostiene, la lettura è un forma di amicizia, anzi, nella lettura l'amicizia viene di colpo restituita alla sua primitiva purezza perché ha come interlocutore un morto, o comunque un assente, e quindi è totalmente disinteressata. Una visione. Un miraggio. Una realtà inafferrabile quella contenuta nei suoi libri, uno scorcio di un luogo al quale sentiamo di appartenere ma che non riusciamo mai a raggiungere, che sfioriamo appena senza mai toccarlo davvero.
Arrivati a tale punto non vi è speranza più dolce che il ritrovare le più significative pagine della sua universale recherche tra le pratiche del quotidiano: sicuramente tutti ne trarremo sicuro giovamento, oserei anche in senso fisico oltrechè scontatamente in quello spirituale.
Alcuni autori hanno il potere di "ricreare il pensiero". E - come ha affermato il filosofo francese Gilles Deleuze - c'è qualcosa di straordinario nella maniera in cui ci dicono: “pensare non significa quello che credete”. Marcel Proust, l’autore di Alla ricerca del tempo perduto, ha ridisegnato il pensiero e la nozione stessa di che cosa significhi pensare. La figura dello scrittore parigino , singolarmente intrecciata alla finzione dei personaggi del suo romanzo, ha sempre suscitato una certa curiosità un po' superficiale, legata alla iconografia della sua opera, alle facce dei suoi modelli, uomini facilmente riconoscibili dietro i nomi inventati della Recherche, tanto più che spesso erano esponenti di rilievo del bel mondo di una Francia belle-epoque. La ricerca della fotografia della duchessa di Guermantes, alias contessa di Gref-fuhle, o dell'enigmatico barone di Charlus, duca di Montesquiou, o di quel meraviglioso personaggio di Swann-Haas è, in ultima analisi, solo una forma di pettegolezzo un po' più raffinata della media. Chissà se Proust immaginava di scatenare nei posteri, oltre che nei suoi contemporanei, questa curiosità d'alta classe? Probabilmente sì, ma con sicurezza non amava l'idea che il suo nome di scrittore rimanesse legato agli eventi della sua vita, se non per il filo esile, eppure tenacissimo della sua opera. Per quello che ci riguarda geograficamente più da vicino non dimentichiamo il 1900 è l'anno dei viaggi in Italia, soprattutto a Venezia, dove compie una sorta di pellegrinaggio ruskiniano, una verifica dal vivo delle teorie estetiche del critico inglese, oltre che incontrarsi per la prima volta dal vero con il mondo della pittura italiana, soprattutto giottesca.
Questi viaggi alla ricerca dei grandi momenti dell'arte europea sono un tratto fondamentale dello stile di vita di Proust e si rinnoveranno, fin tanto che gli sarà possibile muoversi e affrontare le fatiche di lunghi trasferimenti. Si può aggiungere che Proust aveva una concezione sentimentale del viaggiare, come risulta dal paragone generalizzato per le città nominate ed evocate: «Il desiderio che esse accendevano in me, sembrava qualcosa di profondamente individuale, quasi si fosse trattato di un amore, di un amore per una persona». In questa affermazione forse si coglie il motivo per cui Proust ha sempre viaggiato in compagnia di persone che amava: la madre, Reynaldo Hahn, Bertrand de Fénelon ecc. «Proust non ha mai viaggiato solo», ha scritto Jean-Yves Tadiè. Mi permetto di osservare che ciò non è del tutto vero; almeno un viaggio, da solo, lo ha fatto: il secondo viaggio a Venezia, nel 1900 (da solo quella volta, per motivi... inconfessabili). Nemico di ogni biografismo, ostile alla ricerca pettegola o benevola sulla vita del creatore, di cui deve far fede solo la sua creatura, Proust sembra aver ammonito, in uno dei suoi scritti critici in particolare, il Cantre Sainte-Beuve, a guardarsi da qualsiasi ricerca biografica su di lui, al di fuori o al di là della sua opera. E, leggendolo profondamente e accuratamente, penetrando la sostanza sottile come una madrcperla della « Recherche », andando a scavare alla base di questa gigantesca cattedrale di parole, emerge e si delinea, prima appena accennata, poi sempre più ferma e nitida, la figura, nella Parigi dei primi del '900, elegante, raffinatissimo, un po' dandy e permaloso.
E' il quadro sommario che di lui si era fatto Andre Gide, il quale, dopo una lettura (o una non lettura, la cosa è ancora controversa) superficiale del primo libro della Recherche proposto dall'autore per la pubblicazione sulla Nouvelle Revue Francaise, si era tirato indietro, leggermente disgustato dal tono troppo estetizzante, dalla tematica frivola e mondana di questo affresco di vita parigina. Interessante poi la divagante argomentazione trova poi un altro bersaglio: l'amicizia. Senza dubbio, sostiene, la lettura è un forma di amicizia, anzi, nella lettura l'amicizia viene di colpo restituita alla sua primitiva purezza perché ha come interlocutore un morto, o comunque un assente, e quindi è totalmente disinteressata. Una visione. Un miraggio. Una realtà inafferrabile quella contenuta nei suoi libri, uno scorcio di un luogo al quale sentiamo di appartenere ma che non riusciamo mai a raggiungere, che sfioriamo appena senza mai toccarlo davvero.
Arrivati a tale punto non vi è speranza più dolce che il ritrovare le più significative pagine della sua universale recherche tra le pratiche del quotidiano: sicuramente tutti ne trarremo sicuro giovamento, oserei anche in senso fisico oltrechè scontatamente in quello spirituale.
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