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Salute. Rigetto: nuove prospettive dalla ricerca

Le cellule al microscopio. (foto) ndr.

di Redazione

ROMA, 3 SET. - Dal XV Congresso Internazionale di Immunologia di Milano 2013 esce la notizia di un nuovo passo avanti che potrà forse consentire un giorno ai pazienti trapiantati di evitare tutti gli effetti indesiderati della terapia con farmaci immunosoppressivi. Le cellule regolatrici che si stanno sperimentando a questo scopo, infatti, possono essere seguite una volta infuse nei malati: ciò permetterà di capire se sopravvivono, resistono, raggiungono il loro scopo, che è quello di convincere il sistema immunitario a ignorare i tessuti estranei provenienti dal donatore. I trapianti infatti salvano la vita a molti malati, ma devono essere seguiti per tutta la vita da cure indispensabili per evitare il rigetto: queste, inibendo indiscriminatamente tutte le difese dell’organismo, espongono però al rischio di infezioni e tumori. Il gruppo dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica guidato da Maria Grazia Roncarolo ha presentato al congresso nuovi dati che confermano anche nei pazienti i dati ottenuti in laboratorio e pubblicati pochi mesi fa sull’importante rivista Nature Medicine. La linea di ricerca si inserisce in un approccio antirigetto molto più mirato di quello attualmente in uso perché, invece di sopprimere tutto il sistema immunitario, usa particolari cellule regolatrici, chiamate Tr1, per bloccare solo la risposta che si rivelerebbe dannosa in quel particolare caso. “Queste cellule - spiega Maria Grazia Roncarolo, che per prima le ha scoperte quando lavorava presso il DNAX Research Institute of Molecular and Cellular Biology di Palo Alto, in California - possono essere utilizzate in modo da insegnare all’organismo a tollerare l’organo trapiantato, per esempio, oppure tessuti contro cui si sono scatenate reazioni autoimmuni, come nel caso del diabete di tipo 1”. La strategia è stata già sperimentata in una condizione purtroppo frequente dopo i trapianti di midollo osseo, in cui sono proprio le cellule del sistema immunitario del donatore, infuse nel paziente per esempio per curare leucemie e linfomi, ad aggredire il paziente, e che per questo è chiamata “graft versus host disease”, malattia del trapianto verso l’ospite. “Ma ci sono molte altre potenziali applicazioni terapeutiche per le cellule Tr1, che inducono una tolleranza specifica e mirata lasciando all’organismo la capacità di difendersi da virus e batteri” prosegue Roncarolo. “Per esempio ci sono studi in corso riguardo a malattie infiammatorie intestinali come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa”. Una volta infuse, però, come sapere se le cellule Tr1 sopravvivono nell’organismo e continuano a svolgere la loro funzione, tenendo a bada il sistema immunitario? Nello studio pubblicato su Nature Medicine erano stati identificati marcatori specifici per queste cellule; oggi sappiamo che questi marcatori servono davvero a seguire le cellule Tr1 una volta infuse nei pazienti. Le cellule regolatrici Tr1 usate dal gruppo milanese non sono le uniche che possono indurre una tolleranza specifica. Molti altri laboratori in tutto il mondo stanno seguendo altri tipi di cellule per raggiungere lo stesso obiettivo, che potrebbe permettere di liberare i pazienti trapiantati dagli effetti collaterali della terapia immunosoppressiva e guarire quelli colpiti da malattie autoimmuni o autoinfiammatorie. “Le diverse strategie saranno messe a confronto in un grande studio europeo, chiamato The one study, che le metterà alla prova su pazienti sottoposti a trapianti di rene con caratteristiche molto simili tra loro” aggiunge la ricercatrice. Il suo gruppo è in pole position per dimostrare i vantaggi delle cellule Tr1.





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