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'LA Buona Politica' - Rocco Scotellaro: storia di un poeta, politico e di un autentico passionale uomo del profondo sud

Rocco Scotellaro. (foto com.) ndr.

di Cosimo Imbimbo 

BARI, 4 NOV. - Rocco Scotellaro (Tricarico, 19 aprile 1923 – Portici, 15 dicembre 1953) è stato uno scrittore, poeta e politico italiano. Figlio di padre ciabattino e madre casalinga nacque a Tricarico (MT) il 19 aprile 1923. A dodici anni si trasferì per motivi di studio a Sicignano degli Alburni e poi, con alterne vicende, a Cava dei Tirreni Matera, Roma, Potenza, Trento e Tivoli. Nei primi degli anni quaranta si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Roma. Ritornò a Tricarico dopo la morte del padre e continuò gli studi presso l'università di Bari. Aderì al partito socialista italiano e a ventitre anni fu eletto Sindaco e quindi Presidente dell'ospedale civile del Comune di Tricarico. 

I non colti ma saggi suggerimenti del padre gli consentirono di intuire, fin dall'adolescenza, il dramma dei "cafoni" ovvero la disumana condizione sociale dei braccianti soggiogati dal prepotere della classe padronale, condizione questa che Egli stesso definì "schiavitù contadina", a Portici, il 15 dicembre 1953, di notte, con un turbine negli occhi, un temporale sulla fronte e uno schianto terribile nel cuore,un rantolo breve e definitivo su un letto non suo di camera in subaffitto, ha reclinato il capo come un toro mortalmente trafitto dall’ultima estocada con la spada piantata fino all’elsa e le banderillas all’ infuori E poi c’è l’insegnamento di Carlo Levi, il suo mentore, il suo grande amico del nord, che spronava i meridionali a tirar fuori orgoglio, la grinta, l’amor proprio, non piangersi addosso, rimboccarsi le maniche, darsi da fare, con entusiasmo, passione, costanza, in un mistico affratellamento. Lottare, insomma, per rivendicare una nuova qualità di vita, anche esagerando ,magari , quando tutto sembra coalizzarsi contro i poveri: il potere sociale politico economico e religioso, e lo stesso Stato che anziché un padre, sembra un bieco oppressore dei deboli e dei poveri:” Io sono italiano, ma l’Italia è mansionata da infami, ladri e barbari; gli enti e gli uffici mi hanno riempito di dolori e io ho affrontato la sorte menandomi all’avventura in quest’aperta campagna pure essendo grande invalido con un infortunio subito per difendere la mia Patria…La Patria!…Andai dal prefetto, non mi volevano ricevere allora mi buttai a terra e mi coprii della bandiera tricolore e rotolandomi nel corridoio gridavo : – Mamma mia che puzza!, che marciume!, non si resiste … Rifacciamo la costituente ,ricostituiamoci in piena regola da italiani, da estirpare i vari ceppi e farne carbone…. 

Il Maresciallo mi disse: “Così vai in galera” ed io risposi: – Chi se ne frega ,più scuro della mezzanotte non può essere quando io sto lottando l’ oscurità dell’una e un quarto … Ora siamo nel secolo dei nobili ignoranti, pieni di beni e di vaste comodità usurpate ad un popolo balocco e scemo, ed io mi voglio distinguere innalzando la mia bandiera a lutto, essendo la bella Italia ricaduta nuovamente sotto il regime burocratico…Viva l’Italia! … Basta rubare, sarebbe ora di marciare sulla via dell’onore. “. Toccherà, infatti, alle sue opere, pubblicate postume, lasciare la sua importante eredità di pensiero e di passione, così bistrattata da uomini della sua stessa fede politica come Giorgio Napolitano, Mario Alicata e Giorgio Amendola, il quale si ricrederà, ma troppo tardi. Nel 1954, un anno dopo la sua morte, esce, con la prefazione di Carlo Levi, il suo libro di poesie “È fatto giorno” (Premio Viareggio), nello stesso anno “Contadini del Sud”, con la prefazione di Manlio Rossi-Doria, opera incompiuta che prefigura un progetto ambizioso di analisi delle condizioni dei contadini meridionali delle regioni di Puglia, Campania, Calabria e Basilicata; nel 1955, anch’essa incompiuta, e ancora con la prefazione di Carlo Levi, esce “L’uva puttanella”. Più tardi, nel 1978, uscirà un altro libro di poesie, “Margherite e rosolacci”, a cura di Franco Vitelli. 

Famosa una sua citazione: Il paese è vuoto e se alzi gli occhi, l'aria ti prende, hai voglia di goderla, di riempirla di te, quella ti prende nelle braccia sue e si sentono le nenie che hai già sentito, esclamano le stesse vacche da Serra del Cedro, ritornano i giorni passati con fatti che successero e le tinte di allora, i luoghi, la vigna. Ecco che allora ci si commuove quando si legge "E' fatto giorno", i cui versi più che essere intesi in senso metaforico - come entrata in scena della massa contadina - rivelano più pura poesia se vengono intesi proprio per ciò che le parole dicono e che abbiamo vissuto durante l'infanzia, quando ci si svegliava emergendo alla luce dal buio della notte, scoprendo di essere ancora vivi e sé stessi nel momento in cui ci si metteva addosso ancora gli stessi panni e scarpe, si vedeva la stessa faccia allo specchio avuti la sera precedente andando a letto; e poi ci si dedicava ognuno al proprio gioco sulla scena del mondo, annunciata dal canto del gallo e confortata dalla visione del volto rassicurante di nostra madre al focolare. e ancora il suo amico Levi: «Carlo e i contadini sono i soli che mi vogliono a Tricarico » Questo la dice lunga su quella persecuzione, fondata su lettere anonime e indizi inconsistenti, che poi lo fecero ingiustamente finire in carcere. Era la prova inequivocabile che politici e giudici erano d’accordo, con chi allora deteneva il potere esecutivo, di “farlo fuori”. In lui avevano individuato il pericoloso leader dei contadini, da anni in lotta per la terra (ricordiamoci che quelli erano i tempi delle occupazioni delle terre, ondata che attraversò tutto il Mezzogiorno). 

Rocco era un pericoloso avversario da bloccare ad ogni costo . Speriamo con tutto il cuore e la mente che tanta nobiltà di animo possa ancor oggi contribuire concretamente allo sviluppo e alla crescita del nostro vivere sotto tutte le prospettive e punti di vista.





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