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'La Buona Politica' - Giovanni Sartori e la decadente democrazia italiana

Giovanni Sartori. (foto com.) ndr.

di Cosimo Imbimbo 

BARI, 13 GEN. - Giovanni Sartori (Firenze, 13 maggio 1924) è un politologo italiano. È considerato uno dei massimi esperti di scienza politica a livello internazionale, con all'attivo diverse collaborazioni e cariche in università estere. Autore di fondamentali volumi più volte ristampati e tradotti in una molteplicità di lingue, Sartori ha scritto di democrazia, di partiti e di sistemi di partito, di teoria politica e di analisi comparata, di ingegneria costituzionale. 

La sua carriera, cominciata a Firenze, dove ha ricostruito la scienza politica italiana e fondato la "Rivista Italiana di Scienza Politica", lo ha portato prima alla prestigiosa università di Stanford, poi alla Columbia University nella quale è stato per quindici anni Albert Schweitzer Professor in the Humanities, attualmente Emerito. Nei capitoli di questo libro, preparato in occasione del suo ottantesimo compleanno, gli autori, suoi collaboratori e allievi, analizzano ciascuno una tematica frequentata da Sartori e ne mettono in rilievo il significato, l'originalità e la permanente validità. L'esito è una visione ampia, approfondita e articolata del pensiero di Sartori e della sua interpretazione civilmente impegnata del ruolo della scienza politica nell'analisi e nella trasformazione dei sistemi politici democratici. Secondo Sartori al nostro Paese serve un sistema elettorale con doppio turno. ''Al primo, i cittadini scelgono il partito a cui dare la rappresentanza, al secondo, scelgono da chi vogliono essere governati''. Secca bocciatura per il Mattarellum, ''il maggioritario consente ai partiti più piccoli di ricattare i più grandi e non assicura stabilità''. Secondo l'editorialista del Corriere della Sera, sarebbe ideale accompagnare al doppio turno, anche la ''riforma del semipresidenzialismo''. Un sistema che - sostiene Sartori - ''offre capacità di governo con garanzie costituzionali''. Il doppio turno - dice il politologo - ''avvantaggia i partiti maggiori che hanno tutto l'interesse a portare a casa la nuova legge''. Come talune sortite della lega su tema della discriminazione razziale: “Il razzismo da osteria di Calderoli è talmente abietto da aver suscitato una riprovazione (quasi) unanime. 

Ma lo sfondo politico, quello dell’ ostilità diffusa e trasversale ai migranti, resta e continuerà a produrre il suo veleno anche quando non si parlerà più di Calderoli”, scrive Alessandro Dal Lago su Il Manifesto, commentando l’editoriale di Giovanni Sartori Terzomondismo in salsa italica, pubblicato sul Corriere della Sera il 17 luglio scorso.Secondo i suoi orizzonti ideali l’ideale democratico si dispiega come un ideale negante del sistema (autocratico) che combatte e che si propone di abbattere, e tanto più l’ideale è massimizzato, tanto maggiore può essere la sua efficacia. Ma nel secondo contesto, l’intento di abbattere l’avversario è realizzato, la democrazia è insediata. Quella democrazia sarà senza dubbio una realizzazione altamente imperfetta dell’ideale di prima. Resta che l’ideale non combatte più un nemico. E’ chiamato, invece, a sostenere e promuovere la creatura che ha generato. Per dirla tutta le democrazie nel loro grigio operare quotidiano, spesso meritano poco credito. Ma lamentarsi del loro operato quotidiano è un conto, e screditarle in principio è un altro. C’è un discredito meritato, e c’è un discredito immeritato: quello che deriva da un perfezionismo che senza sosta alza troppo la posta. In ogni caso mette sotto accusa l’Unione europea e – guarda caso – lo stesso giorno, 3 dicembre, forse dopo aver letto quell’articolo nella rassegna stampa, il presidente Giorgio Napolitano ha detto: “A livello delle istituzioni europee si impone una correzione di rotta e un impegno nuovo per promuovere la crescita e l’occupazione”. 

 Lo ha detto in occasione dell’incontro con il presidente croato Ivo Josopovich, ammettendo che le “politiche di contenimento del debito pubblico e di risanamento finanziario… hanno avuto a loro volta un effetto recessivo”: cosa che economisti e gente di buon senso aveva cominciato a ripetere fin dalle prime mosse del governo Monti. Ciò che conta è il suo attacco al federalismo. Sul quale dice: “Al massimo l’Europa può puntare su una formula confederale con un potere centrale molto debole; ma questa soluzione non risolverebbe granché. La mia proposta invece è di una Unione Europea che sia al tempo stesso anche una unione doganale. Il che significa che una difesa doganale non può essere decretata da un singolo Stato, ma deve essere autorizzata, per esempio, dalla Banca centrale europea”. Ma Sartori va ben oltre e propone anche che la BCE (e non si capisce perché una banca centrale dovrebbe avere questo potere) decida anche il livello di protezione di ciascuno stato membro della UE, da intendersi quindi anche come protezione nei confronti delle merci di un altro stato UE. Ma, poiché siamo già in una unione doganale da qualche tempo, che è quello che Sartori propone, questo non è possibile perché sarebbe la negazione stessa della unione e del mercato comune. 

Sartori quale intellettuale scomodo attento, vigile e impeccabile nelle sue affascinanti analisi dei contenuti socio-economici italiani, si pone come valida sentinella delle tante e volute disattenzioni di una classe dirigente sempre a caccia di capricci da far pagare sulla pelle della povera gente, ce ne vorrebbero di più di questi uomini che malgrado la loro veneranda età che iddio ce li protegga ancora a lungo.





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