Lettera Aperta del Ponte Romano di Palino
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Il Ponte Romano di Palino (foto) ndr |
di Redazione
SANT'AGATA DI PUGLIA (FG), 26 GEN. - Continua la battaglia dell’Associazione Santagatesi nel Mondo a favore della messa in sicurezza e del recupero dell’antico ponte oraziano. Di seguito si riporta la Lettera Aperta che metaforicamenmte il Ponte comunica a tutti.
Sento che sto cedendo.
Alcuni mi chiamano vecchio ma io sono più che altro antico, risalgo infatti al I secolo avanti Cristo, in età repubblicana, e per secoli sono stato un’importante opera viaria, autostrada di ieri e di oggi.
Sono maestoso, mi trovo ai confini tra Puglia, Campania e Basilicata. Qualcuno mi chiama anche “Ponte Oraziano” perché Quinto Orazio Flacco mi percorreva regolarmente per tornare alla natia Venosa e mi cita persino nella quinta Satira.
Sono l’antico Ponte Romano di Palino, ai confini tra Sant’Agata di Puglia, Candela e Rocchetta Sant’Antonio e grido aiuto.
È possibile che io, un monumento carico di storia di inestimabile valore, debba marcire in questo pietoso stato di cedimento?
Sono quasi un rudere e da solo non sono più in grado di resistere agli insulti del tempo e delle intemperie.
Eppure mi trovo al crocevia di un’area ricchissima di evidenze storiche ed archeologiche, che potrebbero non solo arricchire il patrimonio culturale di questa zona, ma anche suscitare qui un nuovo sviluppo turistico.
So bene quanto sia difficile questo momento per l’economia del nostro Paese e quanto siano vaste le esigenze del complesso di beni culturali più vasto e prezioso del pianeta, ma vedo anche quanti sperperi, quanti ladrocinii e quanto denaro inutile sia dilapidato per ben più inutili vezzi che la valorizzazione delle ricchezze archeologiche e culturali di questa bellissima terra di Capitanata.
Mi trovo in uno stato di evidente abbandono e nessuno interviene per scongiurare il rischio del mio crollo.
C’era un tempo, quando Sant’Agata di Puglia era ancora chiamata Castrum Artemisium, in cui l’intera zona era centro nevralgico di una vasta viabilità romana che ruotava proprio intorno a me, fabbricato a suo tempo per attraversare il fiume Calaggio.
Costruito in mattoni e pietra, ho tre luci e fui edificato per collegare Aeclanum (l’attuale Mirabella Eclano) con Herdonia (ora Ordona) quando si costruì la strada Aurelia Aeclanensis, che congiungeva la via Appia con la via Traiana, il Tirreno e l’Adriatico. Il luogo in cui sorgo, in agro di Sant’Agata, costituisce da millenni un itinerario strategico che mette in comunicazione l’Irpinia, la Lucania e la Daunia. E la rilevanza delle infrastrutture di epoca romana testimonia l’importanza innegabile della zona dal punto di vista architettonico, storico e culturale.
Nella terra della Via Francigena del Sud, che collega i santuari dedicati al culto di San Michele dalla Francia fino a Monte Sant’Angelo, non possono dimenticarsi di me, di strade materiali e immateriali che per lungo tempo hanno reso ricca la nostra terra, costituendo un passaggio obbligato e un ponte culturale tra l’Europa e il Mediterraneo.
La mia linea architettonica semplice e robusta è stata teatro di viaggi storicamente significativi come come quello di Pirro, che proprio ad Ausculum vinse la famosa battaglia contro i Romani.
Da circa dieci anni, da quando anche il fiume Calaggio ha deviato il suo letto, a causa dei danni del tempo e soprattutto della memoria, sono quasi ridotto in macerie e rischio di crollare tra l’indifferenza generale. I danni provocati dalla frana del 2005 hanno compromesso definitivamente il mio equilibrio.
È questo che volete?
Finora qualche promessa ma nessuno ha accolto il mio grido di dolore.
Faccio parte di un progetto architettonico e topografico lungimirante risalente a più di duemila anni fa.
Davvero vogliamo perdere l’opportunità di fare di me un vero collegamento tra il passato e il presente del Subappennino dauno e un ponte verso lo sviluppo del futuro?
Io non credo.
Ma se è così, ve ne prego, rispondete al mio appello.
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