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Venezia. Quei due del Nazareno

Il logo dell'Ass. Democrazia Crisitiana. (foto) ndr.

di Ettore Bonalberti

VENEZIA, 23 GEN. - Dobbiamo prendere atto che qualcosa di nuovo è avvenuto, e non di poco conto. Spiace che nel PD si sia dovuto attendere l’arrivo - alla sua guida - di un pischello fiorentino dall’aria fonziana per riconoscere ciò che era costume consolidato nel vecchio PCI di togliattiana e berlingueriana memoria: il lucido realismo nell’ammettere ruolo e funzione dell’avversario politico, specie se, come nel caso del Cavaliere, sino a poco tempo fa si era alla guida del primo partito d’Italia. No, per vent’anni se ne sono voluti disconoscere ruolo e funzione, costruendo sulla loro demonizzazione larga parte della strategia e della tattica operativa del vecchio (PDS-DS) e del nuovo partito (PD). Ecco perché assistiamo alle convulse agitazioni di un PD che, prima, corre spedito al voto per spingere Berlusconi alla dannazione del reo e, subito dopo, stabilisce con lui un patto per le riforme, un patto per vent’anni ostinatamente negato. Nel merito di quel patto siglato nella sede di Via del Nazareno, alla prima lettura non ho potuto che gridare allo scandalo di un sistema elettorale che sembrava voler far indossare all’Italia una casacca spagnola lontana dalle mode e dai costumi nazionali. Il recupero del secondo turno di ballottaggio tra le coalizioni maggiori che non raggiungano il 35% del voto al primo turno, toglie la rigidità di quel sistema, aspirando a delineare un bipolarismo inevitabilmente forzato, sin qui infausto per il governo dell’Italia. Si propone, alla fine, un ircocervo italico nel quale si ritrovano elementi diversi recuperati dai sistemi elettorali spagnolo, tedesco e francese; insomma un menu alla carte appetibile ad ogni palato. Da vecchio “DC non pentito” mi limito a osservare che, nel 1953, i nonni degli attuali eredi postcomunisti senza più cultura, definirono “legge truffa” la proposta di De Gasperi di un premio di maggioranza alla coalizione che avesse raggiunto il 50% più uno dei consensi elettorali. La criminalizzarono e per quarant’anni abbiamo dovuto subire continue crisi di governo pur nella continuità della DC, favorita dal fattore K. Una DC che, in ogni caso, veleggiava sempre oltre la soglia del 35%. Oggi, nel deserto della politica e nella frantumazione delle forze politiche, si tenta di far passare un sistema premiale riservato ai due partiti più forti, in grado di raggiungere una soglia del 35%, più vicino alla famigerata legge Acerbo (18 novembre 1923) voluta da Benito Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare, che alla “legge truffa” del 1953. Questo della bassa soglia richiesta per far scattare il premio è il primo nodo da sciogliere, cui si aggiunge quello di un valore troppo elevato del premio stesso (18%) destinato a falsare significativamente l’orientamento del consenso elettorale. Quanto al tema delle liste corte e bloccate, esso rappresenta il punto concreto della mediazione gestita da Verdini per il duo del Nazareno: un sistema per continuare a garantire a Berlusconi la scelta dei suoi fedelissimi nani e ballerine di corte, e a Renzi quello di un gruppo parlamentare a sua immagine e somiglianza. Non sono mai stato un appassionato cultore delle preferenze, considerato che, nella cosiddetta “Prima Repubblica”, furono spesso alla base dei fenomeni di corruttela e del giro disinvolto non tanto di valori, ma di molta filigrana di ambigua provenienza e sconcia distribuzione. Diffido pertanto di coloro che ne esaltano il ruolo taumaturgico di garanzia democratica e libertà degli elettori, anche se la proposta del “renzuscone” così come formulata risulta del tutto inaccettabile. Credo che si potrebbe anche competere con liste corte e bloccate ma, in quel caso, la scelta dei candidati nei partiti andrebbe fatta attraverso elezioni primarie, con regole obbligatorie, democratiche e di ampio controllo pubblico. Resta la vicenda giocata un po’ troppo alla buona del mutamento del ruolo e funzione del Senato e del modificato titolo V della Costituzione; temi di natura e competenza costituzionale che reclameranno doppia lettura e voto qualificato dei due terzi (degli aventi diritto? chiarire), pena il ricorso alla verifica referendaria, stavolta con un PD su posizioni esattamente alternative a quelle con cui fecero cadere la frettolosa riforma del 1986. Agli amici del NCD, dei Popolari per l’Italia e di Scelta civica il compito di giudicare se tale accordo intervenuto al di fuori e, di fatto, contro l’attuale maggioranza di governo, possa essere accolto ed eventualmente emendato o se, invece, non convenga far saltare il banco e andare alle elezioni con la legge elettorale proporzionale uscita dalla Corte costituzionale (sbarramento alla camera del 4% e al senato dell’8%), attribuendo valore costituente alla prossima legislatura nella quale si dovrà procedere, necessariamente, alle modifiche costituzionali coerenti con il sistema elettorale che si vorrà alla fine adottare in funzione del modello istituzionale prescelto: parlamentare, cancellierato, presidenziale o semi presidenziale . Una decisione che spetterà anche alla minoranza del PD, possibile maggioranza nel Parlamento, la quale oggi sconta le dimissioni del presidente del Partito, Gianni Cuperlo, e domani chissà… Auguriamoci che i consigli del saggio Macaluso siano raccolti dai più giovani rampolli di una grande cultura politica che sembra non esserci più. Ciò che proponiamo è un processo di riforma che parta dalla Costituzione, con un parlamento costituente eletto dal popolo e non da una raffazzonata legge elettorale scritta frettolosamente e a vantaggio esclusivo dei due contraenti, espressioni di ambigue e superficiali culture politiche.





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