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'Il Corsivo' - Il piacere di farsi male da soli

Gli italiani vittime dei loro peccati. (foto) ndr.

di Adolfo Nicola Abate

FOGGIA, 22 OTT. - Noi italiani, e specialmente noi meridionali, abbiamo talenti, capacità, bellezza, eppure è nel nostro dna il sottile piacere di farci male da soli. Fate caso ai titoli dei giornali, dei telegiornali, al web. Non c’è un solo argomento per il quale possiamo gioire. Passa con estrema facilità il solo messaggio che tutto è una catastrofe, che non c’è un futuro raggiungibile, che siamo maltrattati da tutti, che la colpa è sempre degli altri. È un modo di pensare diventato un modo di essere, che trasversalmente passa nelle istituzioni, nei governi, nei partiti, nei sindacati, nell’associazionismo, fino ad entrare nelle nostre case, nella coscienza di ciascuno di noi. Di qui la rassegnazione, l’abbandono, la parte oscura della civiltà, o inciviltà, di un popolo. Senza speranza, criticando sempre tutto senza avere mai informazioni certe, ci facciamo male da soli e l’immagine che gli altri vedono (ad esempio i cittadini europei che ci guardano) è quella di un paese incapace di rialzarsi e di un popolo che non esiste, e quando sembra esistere è solo “piagnone e festaiolo”. Ma un po’ di responsabilità ce l’hanno anche i giornali, le televisioni, lo sfogatoio web o meglio, i loro padroni. Sarà un po’ “antico” il termine, ma come lo chiamate voi un editore, proprietario di giornale, e non solo di quello, che chiama i giornalisti uno a uno e propone loro di scegliere di decurtarsi la paga o c’è il licenziamento? E ordina di “sparare” contro qualcuno? Ed ecco i titoli che descrivono sempre un immaginario fatto di minacce, bocciature, cataclismi economici, meteorologici, sociali. Ma di notizie non c’è traccia oppure sono inventate: “pare che”, “circola nei corridoi”, “si dice in giro”, ma mai una fonte identificabile e dichiarata. Quando la smetteremo di raccontare la realtà che appare e non quella che è? Salvo poi a verificare che chi doveva fare bene il suo mestiere ha sbagliato tutto: si è visto a Genova come sul Gargano, si è visto con i grandi esperti di economia e con gli studiosi di sociologia, con i licenziamenti e il precariato, con le macchine del fango che travolgono vite umane. Perché non vogliamo fermarci un attimo a riflettere su quello che leggiamo e su quello che vediamo? Vale sempre la regola di mio nonno: conta fino a dieci prima di aprire la bocca. E, aggiungerei, di scrivere.





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