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Storia. I tre Re Magi non erano tre, non erano re, non erano maghi

I Re Magi. (foto) ndr.

di Michele Loconsole 

BARI, 20 FEB. - Il solo testo evangelico in cui si fa cenno della visita dei magi al bambino Gesù di Betlemme è il secondo capitolo di Matteo. Ma l’evangelista non riferisce quanti fossero, come si chiamavano, da dove erano partiti e con quali mezzi i savi d’oriente avevano raggiunto la lontana Giudea erodiana. Scrive soltanto che “alcuni magi giunsero da oriente a Gerusalemme avendo visto sorgere una stella”. Come mai tanta circospezione intorno ad un brano così centrale per la storia del cristianesimo nascente? Tra le tante ragioni, una sembra prevalere sulle altre, e cioè che la primitiva comunità giudeo-cristiana abbia voluto da subito mettere in guardia i suoi fedeli da maghi e stregoni, all’epoca molto diffusi in Medio Oriente. Noto, infatti, è l’episodio narrato negli Atti degli Apostoli, ove un certo Simone il Mago, rivolgendosi agli Apostoli, aveva fatto esplicita richiesta di volere “acquistare” lo Spirito Santo che loro dimostravano di possedere, allo scopo di trarne vantaggi per la sua professione. Ma i seguaci di Gesù gli risposero che il potere dello Spirito di Dio è un dono, assolutamente gratuito. I Padri della Chiesa, sia orientali che occidentali, dibatteranno lungamente su questa pericope lucana. Si spiegherà, in tal modo, la lotta acerrima da parte della Chiesa antica e medievale nei confronti della simonia, eresia che ha avuto origine dal nome del mago palestinese, comminata a chi vendeva o acquistava “privilegi ecclesiastici” dietro compensi in denaro. Ma tornando ai nostri “magi”, ci è dunque possibile interrogarsi su chi fossero e, soprattutto, per quali motivi avrebbero intrapreso un così lungo viaggio per andare ad adorare “il re dei Giudei che è nato”, portandosi in una regione del mondo a loro lontana sia geograficamente che culturalmente? Cominciamo col dire che Matteo li indica col termine greco “magòi”, ossia “magusei”, ovvero una casta della tribù dei Parti, popolazione insediatasi nell’attuale Iran. Il termine mazdeo “magu”, infatti, indicava un sacerdote, particolarmente versato nello studio dell’astrologia, dell’astronomia, della magia e della taumaturgia, appartenente alla religione di Zoroastro, una divinità persiana del VI sec. a.C. capo dei Medi. Dunque, non dei “magi” nel senso di “maghi” dediti all’occulto, ma sacerdoti zoroastriani cultori dei moti dei pianeti e degli astri. Maggiori informazioni, invece, sono rinvenibili nei vangeli apocrifi. Testi scritti da discepoli e seguaci del Nazareno in un periodo compreso tra il II e il VI secolo d.C. Alcuni, anche coevi agli stessi vangeli canonici. Tra cui il Protovangelo di Giacomo, di provenienza giudeo-cristiano, in cui è detto che Gesù era nato in una grotta. Per i canonici, invece, il Bambinello nasce in una stalla per Luca, e in una casa per Matteo. Da un altro vangelo apocrifo, lo Pseudo-Matteo, veniamo a sapere che ogni magio dà un dono al Re dei re (oro, incenso e mirra), e che a Maria e a Giuseppe lasciarono una moneta d’oro ciascuno. Mentre, dal vangelo arabo-siriaco dell’Infanzia, redatto nel VI secolo, che i magi raggiunsero Betlemme perché mossi dall’antica profezia di Zarathustra, profeta persiano a cui abbiamo già fatto cenno. E che dopo il noto triplice dono dei magi, Maria ricambia la cortesia consegnando loro una fascia che avvolgeva il neonato quando era stato posto nella mangiatoia. Questi, ritornati in oriente, “provarono” la sacra fascia col fuoco, che, con meraviglia degli astanti, non si consumò tra le fiamme. La tradizione vuole che la comunità magusea abbia conservato le sacre bende, divenute poi reliquie, convertendo non pochi persiani al cristianesimo. Nel Vangelo armeno dell’Infanzia, infine, i tre magi sono presentati come fratelli. Solo in questo testo si afferma che sono re, e ne vengono svelati anche i loro nomi: Melkan re dei persiani (colui che dona la mirra), Balthasar re degli indiani (il dispensatore d’incenso) e Gaspar re degli arabi (che porta l’oro). In Oriente si svilupperanno anche altre tradizioni letterarie sui magi del presepio betlemita: le più note sono riportate nel Libro della caverna dei tesori e nella Cronaca di Zuqnin. Nella prima, una composizione siriaca del V secolo, si narra che i magi videro la stella che li guidò in Terra Santa, già due anni prima della nascita di Gesù; e, al centro dell’astro, una vergine con un bambino fra le braccia. Messosi in viaggio, arrivarono a Betlemme otto giorni dopo il parto. Saranno poi battezzati da Tommaso, quando l’apostolo incredulo si recherà in oriente per evangelizzare quei popoli. La seconda fonte, invece, dell’VIII secolo d.C., narra di ben dodici magi, al cui seguito figuravano oltre 4.000 soldati, tutti a cavallo. I magi giunti di fronte a Gesù lo videro ciascuno in modo diverso: giovane i giovani; maturo i maturi; vecchio i vecchi. In occidente, invece, la tradizione sui magi ha preso le mosse dall’iconografia, dalle cui immagini i Padri della Chiesa hanno attinto a piene mani per le loro esegesi: i tre magi sono stati associati alla figura della Santissima Trinità; hanno rappresentato le tre dimensioni del tempo: passato, presente e futuro; hanno ricordato i tre progenitori dei popoli e figli di Noè, Sem, Cam e Jafet; hanno simboleggiato i tre stadi della vita, giovinezza, maturità e vecchiaia; hanno riassunto i popoli pagani del mondo convertiti al cristianesimo; e i loro doni, infine, hanno prefigurato Cristo come Profeta (la mirra), Sacerdote (l’incenso) e Re (l’oro). Tutti temi teologici che hanno voluto sottolineare la Signoria di Cristo sul mondo, sull’uomo e sulla storia, oltre alla conversione spontanea dei gentili e dei pagani al cristianesimo primitivo. Un ultimo aspetto riguarda la “stella”, che nel vangelo di Matteo non viene descritta come “cometa”, ma che semplicemente precedeva i magi verso Betlemme. Ma le stelle, è noto, non si muovono. Eppure non c’è presepe senza l’astro con la coda. Ad introdurla è stato Giotto, che la dipinse per primo nella sua Natività del 1304 custodita nella Cappella degli Scrovegni, dopo che aveva fatto l’esperienza del passaggio della Halley tre anni prima. E allora, cosa avrebbero seguito i nostri sacerdoti persiani, che luccicava e che si muoveva nel cielo d’Oriente senza che fosse una stella, tantomeno cometa? Secondo recenti studi astronomici, già avviati da Keplero nel 1614, ciò che videro i Magi poteva essere la ciclica congiunzione dei pianeti Giove, Saturno e Marte, in asse con la Terra che, ogni 794 anni, produce un effetto luminoso nel cielo notturno “pari a venti volte quella della luna piena”. Nel 7 a.C., anno in cui quella sovrapposizione si rese visibile dalla Terra per ben tre volte, a maggio, a settembre e a dicembre, dando vita ad una specie di “scia luminosa nei cieli notturni d’Oriente”, potrebbe essere ciò che ha condotto i sacerdoti zoroastriani sul luogo dove era nato il Salvatore del mondo? Dato che, se confermato, anticiperebbe la data di nascita di Gesù di alcuni anni. Questione anch’essa lungamente dibattuta nel corso dei secoli, e che apre a due altri temi, cari agli studiosi del cristianesimo primitivo. Il primo, l’eventuale errore del monaco Dionigi che nel 532 avrebbe posto l’anno di nascita di Gesù in un punto errato della nuova cronologia cristiana. Il secondo, la datazione della morte del re Erode al 4 a.C., ben sei anni prima della nota strage degli Innocenti.





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