Bari. Tradizioni Pasquali
Il crocifisso. (foto) ndr. |
di Donato Forenza
BARI, 9 APR. - Nel periodo pasquale è vissuto ogni anno il rinnovamento della fede per tutti.
Molte famiglie rievocano l’itinerario delle tradizioni religiose e gastronomiche caratterizzanti le due settimane precedenti il giorno di Pasqua, estendendosi al lunedì Santo, “giorno di Pasquetta”. Le persone si avvalgono spesso, oltre che di documentazioni religiose, di immagini di vecchi giornali e di effigi della Madonna incastonate, quali preziosi documenti, nella propria vita. Altre volte si rispolverano frasi di un delizioso vernacolo barese, che da solo può veicolare il significato di determinate consuetudini.
Il venerdì precedente la Settimana Santa, in passato, si digiunava, e la sera iniziava la processione dell’Addolorata, definita dal “popolino” anche “Madonna della pietà ”, o “Madonna d’ l’ tarall”, o “Madonna d’ l’ ciambell”, perché al termine della processione alcuni figuranti, soprattutto bambini, portavano le squisite ciambelle. Con grande fede, folle di fedeli accorrevano vicino alla statua della Vergine celeste, implorando intercessioni per mariti e figli in guerra, soprattutto durante il periodo dei due conflitti mondiali.
Una curiosità storica: il 7 aprile 1911, a causa di una forte pioggia torrenziale, la processione “s’infilò” in un portone di via Nicolai in Bari, e poiché tale evento si verificò anche l’anno successivo, i due fatti furono considerati “caratteristici”e, pertanto, si individuò quale “segno” di un presagio infausto. Va ricordato che in occasione del terzo centenario, nel 1997, insieme alla Madonna Addolorata “uscì” in processione anche il Calvario di Cristo. In Capitanata, la processione della Desolata, del territorio foggiano, era particolarmente “sentita” da tutti i cittadini.
La Domenica delle Palme si verificava la ricerca affannosa, da parte anche di ragazzi, per ottenere le palme, subito collocate “ind’ a l’ s’ttan’”, negli scantinati, luoghi bui e umidi, perché divenissero gialle; venivano poi intrecciate con varie forme (triangolari, circolari, etc.), con nastri colorati, benedette in Chiesa dal parroco, e bagnate, per essere di buon auspicio.
La palma riveste molti significati: simbolo di pace e buon augurio, specie fra coloro che “s’arragavano”; spesso veniva scambiata fra fidanzati, posta sulla porta di casa soprattutto nel mondo agricolo, e “a capo” del letto matrimoniale. Nel caso delle ragazze “vacantine” (nubili), si bruciava una foglia della palma: se tale foglia saltellava o scoppiettava sul fuoco, si annunciavano futuri progetti matrimoniali. A tal proposito vi sono alcuni versi in vernacolo barese, che descrivevano frizzantemente questo rito, teso a previsioni di matrimonio e dei relativi tempi di attuazione. Nella palma si riponeva fiducia, giurando “sulla palma della figlia” (cioè sull’innocenza). La palma veniva donata dal fidanzato, insieme con gioielli, alla futura sposa, la quale ricambiava donando al fidanzato l’agnellino di pasta di mandorla, polsini d’oro, l’orologio. La lettura del testo “La palma della zita” di Mario Piergiovanni, ha sempre costituito una puntuale testimonianza dell’importanza della palma nei rapporti tra fidanzati.
Il simbolo della palma ha costituito da oltre duemila anni un valore di grande rilevanza ecumenica che ha permeato di un grande connubio universale il valore straordinario della pace tra le genti.
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