'La Buona Politica' - Tifo negli stadi: tiriamo un calcio alla violenza
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Violenza negli stadi. (foto com.) ndr. |
di Cosimo Imbimbo
BARI, 3 GIU. - Ancora freschi di scandali "FIFA", ritorniamo sull'argomento calcio nella sua dimensione più violenta e drammatica. Le cronache delle partite sulla stampa sportiva non si limitano ormai da tempo a raccontarci le prodezze agonistiche di questo o quel campione, ma ci riferiscono di aggressioni, scontri, risse, assedi, agguati, accoltellamenti, ferimenti, lanci di oggetti, di petardi, di pietre, di bombe, giù giù fino a che talvolta l'insensata spirale di violenza non lascia sul campo il morto ammazzato. La violenza del tifo italiano è in calo ma a rischio recrudescenza.
Tanto che c’è ancora chi non si vergogna ad esser od anche solo del voler apparire razzista. Cori, striscioni, insulti a sfondo discriminatorio attraversano gli spalti del solo nord Italia: Juventus e Lazio su tutte, quindi Atalanta ed Inter ma anche Fiorentina, Parma, Novara, Cesena. Per fortuna anche in Italia, almeno da una ventina d'anni, la politica è entrata sugli spalti degli stadi. Nel 2014 la Polizia ha tracciato una mappa dei 388 gruppi organizzati di tifosi: 60 presentano una forte connotazione politica, 45 di estrema destra e 15 di estrema sinistra. E molti distribuiscono anche fanzine e materiale informativo. Il calcio italiano è spesso al centro di polemiche per via degli scontri fuori dallo stadio tra le varie tifoserie. E' ancora vivo nella memoria il ricordo degli scontri nella Capitale, in occasione della finalissima di Coppa Italia, con protagonisti i tifosi della Roma e del Napoli. La particolarità è che le tifoserie rivali spesso si ritrovano unite per scagliarsi contro le forze dell'ordine. Naturalmente, onde evitare di urtare la sensibilità di alcuni tifosi, si parla in modo generico. Ovvero, si parla solo di quella parte di tifoseria che non va allo stadio per tifare ma per creare caos. Purtroppo, molto spesso, la violenza che si riversa in ambito calcistico, non ha nulla a che vedere con le reali motivazioni che portano a gesti estremi. Esagitati e accecati dalla voglia di distruggere, fare danni e in alcuni casi addirittura uccidere, i tifosi più facinorosi si riuniscono spesso in gruppi organizzati molte volte riconosciuti con l’appellativo di “ultras”.
Col passare degli anni, purtroppo, quelli che erano gruppi nati per seguire una passione, in alcuni casi si sono trasformati in tane di violenza e odio da sprigionare verso gli avversari, quella violenza che troppo spesso sporca e infanga uno sport nato per unire e divertire e che oggi invece si trova dividere ed uccidere. I luoghi pubblici adibiti allo svolgimento di manifestazioni sportive e, in particolare, quelli legati alla passione calcistica hanno, da sempre, avuto a che fare con problematiche legate al mantenimento ed alla gestione dell’ordine pubblico. I gruppi, secondo la teoria di McGrath scrittore e psichiatra inglese [1984] “sono quelle aggregazioni sociali che implicano reciproca consapevolezza e una potenziale reciproca interazione, e che in base a questa definizione sono relativamente piccoli e relativamente strutturati e organizzati”. Questo variegato insieme di unità sociali può essere circoscritto considerando quei gruppi con modelli di relazione, ovvero, formati da individui che condividono un set di valori, costumi, abitudini e che possono essere, a loro volta, più o meno istituzionalizzati. Nel caso delle frange estreme dei tifosi del calcio, il vero e proprio rigetto, individuale e di gruppo, dei valori dominanti nella società , manifestatosi in occasione di tutti quei comportamenti registrati dall’informazione di cronaca, sembra essere la risultante ultima di una più o meno diffusa condizione di anomia cronica intesa come uno stato di dissonanza cognitiva tra le aspettative normative e la realtà vissuta. Tale condizione, tuttavia, non sembra escludere, il fatto che esista, tra queste persone, una relazione di condivisione di valori, mete, abitudini e così via. Il tifo organizzato è il punto di forza di molte squadre, ma presenta anche risvolti meno belli.
Molte tifoserie si sono distinte soprattutto per quest’ultimo aspetto, diventando davvero pericolose e suscitando il terrore in tutto l’ambiente. E nonostante in Europa si decanti l’impeccabile “modello inglese” o quello tedesco e spagnolo da seguire ed imitare, gli episodi di violenza avvengono lo stesso. Ma cosa c’è dietro queste rivalità ? Quali sono i motivi che spingono, nel 2015, ad ammazzarsi per la propria fede calcistica? Quali sono gli ultrà più cattivi? Il discorso è molto più complesso di quello che sembri. Difficile capire certe dinamiche, praticamente impossibile giustificarle. Eppure esistono. I dissapori tra gruppi ultras possono nascere semplicemente per questioni territoriali, oppure solo per il fatto di tifare colori diversi. Altre rivalità , invece, hanno radici più radicate ed hanno un significato politico o anche religioso. Ed ancora, per motivi geopolitici (Serbia-Albania, Serbia e Croazia gli esempi più lampanti). Ecco perché alcune partite possono racchiudere in sé significati tanto straordinari quanto tragici, che spesso esulano dall’ambito prettamente calcistico. Partite che possono valere un’intera stagione, almeno per la supremazia dei tifosi fuori dal rettangolo verde.
È chiaro che non esiste nessuna via d'uscita fino a quando si continuerà a considerare il tifoso violento un "capro espiatorio" del ormai disagio ultra diffuso di una società , sempre più distratta dalla superfivialità , dal superfluo e dall'effimenro.
Tanto che c’è ancora chi non si vergogna ad esser od anche solo del voler apparire razzista. Cori, striscioni, insulti a sfondo discriminatorio attraversano gli spalti del solo nord Italia: Juventus e Lazio su tutte, quindi Atalanta ed Inter ma anche Fiorentina, Parma, Novara, Cesena. Per fortuna anche in Italia, almeno da una ventina d'anni, la politica è entrata sugli spalti degli stadi. Nel 2014 la Polizia ha tracciato una mappa dei 388 gruppi organizzati di tifosi: 60 presentano una forte connotazione politica, 45 di estrema destra e 15 di estrema sinistra. E molti distribuiscono anche fanzine e materiale informativo. Il calcio italiano è spesso al centro di polemiche per via degli scontri fuori dallo stadio tra le varie tifoserie. E' ancora vivo nella memoria il ricordo degli scontri nella Capitale, in occasione della finalissima di Coppa Italia, con protagonisti i tifosi della Roma e del Napoli. La particolarità è che le tifoserie rivali spesso si ritrovano unite per scagliarsi contro le forze dell'ordine. Naturalmente, onde evitare di urtare la sensibilità di alcuni tifosi, si parla in modo generico. Ovvero, si parla solo di quella parte di tifoseria che non va allo stadio per tifare ma per creare caos. Purtroppo, molto spesso, la violenza che si riversa in ambito calcistico, non ha nulla a che vedere con le reali motivazioni che portano a gesti estremi. Esagitati e accecati dalla voglia di distruggere, fare danni e in alcuni casi addirittura uccidere, i tifosi più facinorosi si riuniscono spesso in gruppi organizzati molte volte riconosciuti con l’appellativo di “ultras”.
Col passare degli anni, purtroppo, quelli che erano gruppi nati per seguire una passione, in alcuni casi si sono trasformati in tane di violenza e odio da sprigionare verso gli avversari, quella violenza che troppo spesso sporca e infanga uno sport nato per unire e divertire e che oggi invece si trova dividere ed uccidere. I luoghi pubblici adibiti allo svolgimento di manifestazioni sportive e, in particolare, quelli legati alla passione calcistica hanno, da sempre, avuto a che fare con problematiche legate al mantenimento ed alla gestione dell’ordine pubblico. I gruppi, secondo la teoria di McGrath scrittore e psichiatra inglese [1984] “sono quelle aggregazioni sociali che implicano reciproca consapevolezza e una potenziale reciproca interazione, e che in base a questa definizione sono relativamente piccoli e relativamente strutturati e organizzati”. Questo variegato insieme di unità sociali può essere circoscritto considerando quei gruppi con modelli di relazione, ovvero, formati da individui che condividono un set di valori, costumi, abitudini e che possono essere, a loro volta, più o meno istituzionalizzati. Nel caso delle frange estreme dei tifosi del calcio, il vero e proprio rigetto, individuale e di gruppo, dei valori dominanti nella società , manifestatosi in occasione di tutti quei comportamenti registrati dall’informazione di cronaca, sembra essere la risultante ultima di una più o meno diffusa condizione di anomia cronica intesa come uno stato di dissonanza cognitiva tra le aspettative normative e la realtà vissuta. Tale condizione, tuttavia, non sembra escludere, il fatto che esista, tra queste persone, una relazione di condivisione di valori, mete, abitudini e così via. Il tifo organizzato è il punto di forza di molte squadre, ma presenta anche risvolti meno belli.
Molte tifoserie si sono distinte soprattutto per quest’ultimo aspetto, diventando davvero pericolose e suscitando il terrore in tutto l’ambiente. E nonostante in Europa si decanti l’impeccabile “modello inglese” o quello tedesco e spagnolo da seguire ed imitare, gli episodi di violenza avvengono lo stesso. Ma cosa c’è dietro queste rivalità ? Quali sono i motivi che spingono, nel 2015, ad ammazzarsi per la propria fede calcistica? Quali sono gli ultrà più cattivi? Il discorso è molto più complesso di quello che sembri. Difficile capire certe dinamiche, praticamente impossibile giustificarle. Eppure esistono. I dissapori tra gruppi ultras possono nascere semplicemente per questioni territoriali, oppure solo per il fatto di tifare colori diversi. Altre rivalità , invece, hanno radici più radicate ed hanno un significato politico o anche religioso. Ed ancora, per motivi geopolitici (Serbia-Albania, Serbia e Croazia gli esempi più lampanti). Ecco perché alcune partite possono racchiudere in sé significati tanto straordinari quanto tragici, che spesso esulano dall’ambito prettamente calcistico. Partite che possono valere un’intera stagione, almeno per la supremazia dei tifosi fuori dal rettangolo verde.
È chiaro che non esiste nessuna via d'uscita fino a quando si continuerà a considerare il tifoso violento un "capro espiatorio" del ormai disagio ultra diffuso di una società , sempre più distratta dalla superfivialità , dal superfluo e dall'effimenro.
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