Eventi. L’I.C.S. “Capozzi-Galilei” di Valenzano (Ba) incontra Gilberto Salmoni, sopravvissuto al campo di concentramento di Buchenwald
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Una immagine dell'incontro. (foto com.) ndr. |
di Anna Bellino
VALENZANO (BA), 17 FEB. - “Hanno seminato odio”: queste le parole con cui ha esordito, martedì 2 febbraio, Gilberto Salmoni, ospite d’eccezione dell’I.C. “Capozzi-Galilei” di Valenzano (BA).
L’evento “Ascoltare… per non dimenticare” è stato promosso dalla Dirigente Scolastica prof.ssa Anna Romanazzi e da tutto il corpo docente, in occasione della ricorrenza della “Giornata della memoria”, per sollecitare gli studenti ad un’attenta riflessione sull’importanza della testimonianza diretta, al fine di approfondire la conoscenza degli eventi storici e condividere esperienze e sentimenti legati alla Shoah.
L’iniziativa, cui hanno partecipato le classi quinte della primaria, terze della secondaria di I° e una piccola rappresentanza dell’ITES “De Viti de Marco” di Valenzano, arriva a conclusione di un percorso di approfondimento sulle leggi razziali fasciste del 1938 e sull’importanza del rispetto degli altri, del diverso indipendentemente dall’etnia di appartenenza.
Gilberto Salmoni, nato a Genova nel 1928, viene internato a 15 anni a Fossoli con la famiglia e da lì, nell’agosto del 1944, viene deportato, col fratello maggiore Renato, al campo di concentramento di Buchenwald (dove rimarrà fino all’11 aprile 1945), mentre i genitori e la sorella Dora, caricati sul vagone per Auschwitz, non faranno più ritorno a casa. Con voce tremante e commossa, l’ingegner Salmoni ha ricordato episodi e stati d’animo di un adolescente che ha vissuto sulla propria pelle momenti terribili, “vedevamo lo specchio di quello che poteva essere la nostra fine”, ha affermato, quando le SS gridavano “nessuno deve uscire vivo.”
Ha raccontato dell’arrivo al campo, della preoccupazione di fare una semplice doccia, vera o finta? Si chiedevano. Ha parlato della selezione, della classificazione in base al numero (il suo lo ricorda benissimo, era il 44.573) e al triangolo, “rosso” per lui e il fratello, perché appartenenti a famiglia ebrea mista e perciò paragonati ai prigionieri politici. Catalizzando l’attenzione dei presenti, ha ricordato le regole ferree del campo, il duro lavoro e la fame a cui erano costretti, il movimento di resistenza che, incredibilmente, alcuni “internati coraggiosi” riuscirono ad organizzare. E’ stato emozionante quando ha sciorinato il suo fazzoletto a righe con il triangolo e, sorridendo, lo ha mostrato agli studenti.
“E’ difficile spiegare, raccontare queste cose”, ha continuato con voce serena e pacata ma, sebbene ciò gli procuri ancora un forte dolore, si sente quasi obbligato a dare voce alla memoria perché attraverso gli incontri con gli studenti ritrova l’energia per continuare a vivere, ad irradiare un filo di speranza alle nuove generazioni. Dopo aver risposto volentieri alle domande degli studenti, ha rivolto loro l’invito a non aver paura delle diversità, dei conflitti d’opinione, da considerare invece fonte di arricchimento e di crescita, e li ha incoraggiati a dare maggiore risalto alla solidarietà, all’aiuto reciproco, perché solo così si può sopravvivere. E lui ne è testimone.
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