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Per statali niente legge Fornero, resta articolo 18

lavoratori in sciopero. (foto Agi) ndr.

di Redazione

ROMA, 8 GIU. (AGI) - Nei licenziamenti del pubblico impiego si applica ancora l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e non la disciplina prevista dalla legge Fornero. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione. La sentenza n. 11868 della Sezione Lavoro è stata depositata oggi. La decisione è stata assunta "all'esito di un'approfondita e condivisa riflessione", specifica un comunicato della Corte di Cassazione. "Non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni", sino ad un "intervento normativo di armonizzazione", le modifiche apportate all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori dalla legge 92/2012, la cosiddetta riforma Fornero, "con la conseguenza che la tutela da riconoscere a detti dipendenti in caso di licenziamento illegittimo resta quella assicurata dalla previgente formulazione della norma". E' quanto scrive la sezione lavoro della Cassazione, nella sentenza depositata oggi con la quale affronta il tema dei licenziamenti nel settore pubblico. La Suprema Corte sottolinea infatti che "a fini interpretativi" assume "peculiare rilievo" il "rinvio ad un successivo intervento normativo" contenuto in un comma (articolo 1, comma 8) della legge Fornero, nel quale si disponeva che "il ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalita' e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche". In merito alla nuova disciplina del licenziamento, introdotta con la riforma, osservano ancora i giudici di 'Palazzaccio', e sulla "estensione della stessa all'impiego pubblico", nell'articolo 1 della legge Fornero "nulla e' detto", con la conseguenza che "in difetto di una espressa previsione, non puo' che operare il rinvio" a un successivo intervento contenuto nel suddetto comma. Nella sentenza depositata oggi, gli alti giudici rilevano che la "definizione delle finalita'" della riforma, "tiene conto unicamente delle esigenze proprie dell'impresa privata", facendo riferimento a una "inscindibile correlazione tra flessibilita' in uscita e in entrata, allargando le maglie della prima e riducendo nel contempo l'uso improprio delle tipologie contrattuali diverse dal rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato". Inoltre, la formulazione del nuovo articolo 18 "introduce - sostiene la Corte - una modulazione delle sanzioni con riferimento ad ipotesi di illegittimita' pensate in relazione al solo lavoro privato, che non si prestano ad essere estese all'impiego pubblico contrattualizzato per il quale il legislatore ha dettato una disciplina inderogabile (il riferimento e' al dlgs 150/2009, ndr), tipizzando anche illeciti disciplinari ai quali deve necessariamente conseguire la sanzione del licenziamento". La Corte parla anche di "inconciliabilita' della nuova normativa" con le disposizioni contenute nel Testo unico sul Pubblico impiego (dlgs 165/2001), "particolarmente evidente in relazione al licenziamento intimato senza il necessario rispetto delle garanzie procedimentali". Inoltre, una "eventuale modulazione delle tutele nell'ambito dell'impiego pubblico contrattualizzato - sostiene la Cassazione - richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per l'impiego privato, poiche', come avvertito dalla Corte Costituzionale, mentre in quest'ultimo il potere di licenziamento del datore di lavoro e' limitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settore pubblico il potere di risolvere il rapporto di lavoro e' circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell'interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di piu' generali interessi collettivi". Viene in rilievo, si spiega nella sentenza, l'articolo 97 della Carta "che impone di assicurare il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione pubblica". Secondo gli alti giudici, l'articolo 18 dello Statuto, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla riforma Fornero, "non e' stato espunto dall'ordinamento, ma resta tuttora in vigore limitatamente ai rapporti di lavoro" nelle amministrazioni pubbliche. La Cassazione, con la sentenza di oggi, ha accolto il ricorso (disponendo un annullamento con rinvio) presentato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti contro una sentenza con cui la Corte d'appello di Roma, confermando un verdetto del tribunale capitolino, aveva dichiarato "l'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro" tra il dicastero e un dipendente, "per effetto di licenziamento", e applicato il nuovo articolo 18, condannando il ministero a corrispondere all'ex dipendente l'indennita' risarcitoria onnicomprensiva, quantificata nella misura minima di 6 mensilita', per aver violato il principio, nel caso in esame, della "necessaria immutabilita' della contestazione": il licenziamento era stato disposto, secondo i giudici del merito, in relazione ad episodi specifici non richiamati nella lettera di avvio del procedimento disciplinare. Al dipendente era stato addebitato di "aver effettuato operazioni per conto dell'Ufficio provinciale di Roma, mentre era in missione per esigenze del Csrpad (Centro superiore ricerche e prove autoveicoli e dispositivi) in localita' ovviamente diverse". I fatti erano stati vagliati anche dal giudice penale, fino alla sentenza definitiva con cui i reati contestati - truffa e falso - erano risultati prescritti.





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