Taranto. XV Giovanni Paisiello Festival: La serva padrona al MUDI
Una immagine dello spettacolo (foto Daniele Lo Cascio) ndr. |
di Daniele Lo Cascio
TARANTO, 14 SETT. – È stata la Serva padrona di Giovanni Paisiello l’opera
inaugurale dell’omonimo Festival dedicato al compositore tarantino organizzato
dall’Associazione Amici della Musica “Arcangelo Speranza”. L’opera qualificata
come intermezzo comico ha avuto presso il Mudi (Museo Diocesano) due
rappresentazioni, la prima martedì 12 al coperto causa forte vento imperversante
sulla città e la seconda mercoledì 13 nel cortile dello stesso museo. Per
comprendere le peculiarità della rappresentazione occorre riconsiderare la
genesi storica dell’intermezzo comico che
esprime una drammaturgia molto vivace in quanto non vi sono le consuete entrate
e uscite dalle quinte che permettono un respiro ai personaggi, ma è tutto
basato sull’immediatezza, proprio quale sua prerogativa che si sviluppò tra Sei
e Settecento. Nell’intermezzo comico di un’opera seria venivano confinati personaggi
grotteschi come servi e nutrici carichi di comicità al fine di intrattenere il
pubblico durante il cambio di scena. Questo genere nacque a Venezia nel 1708
per arrivare dopo quindici anni a Napoli, ove fu apprezzato dal tranese
Domenico Sarro, allora deus ex machina
di tutta la musica napoletana che aveva come pupillo Pergolesi.
Nel 1733 Pergolesi scrisse Serva Padrona come intermezzo all’interno dell’operaPrigionier Superbo, opera seria di ambientazione classica. Qualche anno prima, Metastasio, il più grande poeta del Settecento aveva scritto l’Impresario nelle Canarie, uno dei primi intermezzi di successo sempre con due personaggi. Questa drammaturgia comica aiutò Carlo Goldoni a Venezia a far nascere l’opera buffa che resta un fenomeno successivo degli anni quaranta in cui si moltiplica la complessità comica con drammi in cui vi sono anche sette o otto personaggi per una durata anche di tre ore; fu poi portata ad alti livelli da Piccinni con la Cecchina negli anni sessanta. Negli anni quaranta gli intermezzi si estinsero perchè tra gli atti si preferivano i balletti acrobatici o pantomimici, graditi a Carlo di Borbone e a re Ferdinando. Paisiello era negli anni settanta all’apice del successo e nel 1776 fu chiamato in Russia alla corte di Caterina II, qui però non aveva un librettista essendo morto il grande Marco Coltellini. Paisiello dovendo necessariamente produrre per contratto e per conciliare il gusto della zarina che non era espressamente amante della musica operistica, decise di riprendere Serva Padrona che era diventata allora come una sorta di manifesto filosofico dal momento che nel 1752 una compagnia di comici e attori (i buffons) guidata da Eustachio Bambini ebbe una chance a Parigi alla corte di Luigi XV.
Qui tutti gli intellettuali che stavano preparando l’Enciclopedie rimasero stupiti da questa verità di carattere, questa immediatezza che si contrapponeva all’immobilismo degli attori classici e mitologici dando vita alla c.d. querelle des bouffons, con i futuri enciclopedisti sostenitori della supremazia del teatro musicale italiano su quello francese. Paisiello nel riprendere la Serva Padrona mise il suo nome su un libretto fatto da Pergolesi dandogli un’altra veste musicale. La principale novità dell’allestimento del festival è stata quella di utilizzare strumenti storici, ovvero riproduzioni contemporanee degli stessi con l’Orchestra Barocca Santa Teresa dei Maschi di Bari diretta da Sabino Manzo. In essa oltre all’organico orchestrale si distinguevano: due flauti traversieri neri, due clarinetti storici provenienti da Sibari, due oboi, due fagotti e due corni. Tre arie e quattro duetti per i due i personaggi recitanti in scena secondo il libretto di Gennaro Antonio Federico: il soprano Valeria La Grotta (la serva Serpina) e il basso Giuseppe Naviglio (l’anziano nobile Uberto), entrambi nelle proprie vocalità hanno ben caratterizzato i personaggi anche quanto a presenza scenica coadiuvati in scena dal mimo Gabriele Salonne (il servo Vespone). La trama è tanto breve quanto inconsistente essendo la storiella di una trappola di gelosia di una serva per farsi sposare dal suo padrone, ma la musica è fatta di melodie incisive e accattivanti da far subito presa sullo spettatore in cui Paisiello riesce a dare un velo di malinconia anche in una situazione comica.
La regia, scene e costumi di Chicco Passaro hanno tratteggiato una messa in scena stile American Graffiti anni ’50. Da plaudire la scelta di rappresentare il libretto senza alcun taglio il che ha consentito quella ripresa delle azioni comiche costituenti delle gag ex se.
(foto Daniele Lo Cascio) ndr. |
Nel 1733 Pergolesi scrisse Serva Padrona come intermezzo all’interno dell’operaPrigionier Superbo, opera seria di ambientazione classica. Qualche anno prima, Metastasio, il più grande poeta del Settecento aveva scritto l’Impresario nelle Canarie, uno dei primi intermezzi di successo sempre con due personaggi. Questa drammaturgia comica aiutò Carlo Goldoni a Venezia a far nascere l’opera buffa che resta un fenomeno successivo degli anni quaranta in cui si moltiplica la complessità comica con drammi in cui vi sono anche sette o otto personaggi per una durata anche di tre ore; fu poi portata ad alti livelli da Piccinni con la Cecchina negli anni sessanta. Negli anni quaranta gli intermezzi si estinsero perchè tra gli atti si preferivano i balletti acrobatici o pantomimici, graditi a Carlo di Borbone e a re Ferdinando. Paisiello era negli anni settanta all’apice del successo e nel 1776 fu chiamato in Russia alla corte di Caterina II, qui però non aveva un librettista essendo morto il grande Marco Coltellini. Paisiello dovendo necessariamente produrre per contratto e per conciliare il gusto della zarina che non era espressamente amante della musica operistica, decise di riprendere Serva Padrona che era diventata allora come una sorta di manifesto filosofico dal momento che nel 1752 una compagnia di comici e attori (i buffons) guidata da Eustachio Bambini ebbe una chance a Parigi alla corte di Luigi XV.
Qui tutti gli intellettuali che stavano preparando l’Enciclopedie rimasero stupiti da questa verità di carattere, questa immediatezza che si contrapponeva all’immobilismo degli attori classici e mitologici dando vita alla c.d. querelle des bouffons, con i futuri enciclopedisti sostenitori della supremazia del teatro musicale italiano su quello francese. Paisiello nel riprendere la Serva Padrona mise il suo nome su un libretto fatto da Pergolesi dandogli un’altra veste musicale. La principale novità dell’allestimento del festival è stata quella di utilizzare strumenti storici, ovvero riproduzioni contemporanee degli stessi con l’Orchestra Barocca Santa Teresa dei Maschi di Bari diretta da Sabino Manzo. In essa oltre all’organico orchestrale si distinguevano: due flauti traversieri neri, due clarinetti storici provenienti da Sibari, due oboi, due fagotti e due corni. Tre arie e quattro duetti per i due i personaggi recitanti in scena secondo il libretto di Gennaro Antonio Federico: il soprano Valeria La Grotta (la serva Serpina) e il basso Giuseppe Naviglio (l’anziano nobile Uberto), entrambi nelle proprie vocalità hanno ben caratterizzato i personaggi anche quanto a presenza scenica coadiuvati in scena dal mimo Gabriele Salonne (il servo Vespone). La trama è tanto breve quanto inconsistente essendo la storiella di una trappola di gelosia di una serva per farsi sposare dal suo padrone, ma la musica è fatta di melodie incisive e accattivanti da far subito presa sullo spettatore in cui Paisiello riesce a dare un velo di malinconia anche in una situazione comica.
La regia, scene e costumi di Chicco Passaro hanno tratteggiato una messa in scena stile American Graffiti anni ’50. Da plaudire la scelta di rappresentare il libretto senza alcun taglio il che ha consentito quella ripresa delle azioni comiche costituenti delle gag ex se.
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