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'La Buona Politica' - Catalogna: Indipendenza ad un punto di svolta

Manifestazioni per l'indipendenza in Catalogna. (foto web) ndr.

di  Cosimo Imbimbo

BARI, 23 OTT. - Sull’indipendenza della Catalogna si è fatto o detto ormai di tutto e di più.I catalani si sentono prima di tutto catalani. Covano un risentimento storico nei confronti della Spagna, che non sempre ha rispettato (per usare un eufemismo) la loro identità, la loro lingua e la loro cultura. Questo risentimento è alimentato dalle ferite ancora aperte che risalgono alla guerra civile e al fascismo. Niente di tutto ciò può esser messo in discussione, come d’altronde la convinzione dei catalani di essere stati sempre più moderni, europei e democratici rispetto al resto della Spagna. Ma diversamente da quanto accade in Medio Oriente, il futuro dell’Europa non passa per un frazionamento.Arriverà magari il giorno in cui l’Unione europea sarà uno stato potente grazie alla scomparsa degli stati-nazione a beneficio di una rinascita delle grandi regioni, ma oltre al fatto che non si tratta di uno sviluppo inevitabile, è comunque troppo presto. 
È per questo che ciò che vale per Erbil non vale necessariamente per Barcellona.Il movimento che oggi sostiene l’indipendenza della Catalogna non è venuto fuori dal niente: non è nato tre settimane fa, con il referendum dell’1 ottobre, né tantomeno con l’investitura di Puigdemont a presidente, nel gennaio 2016. È cresciuto nel tempo, ha avuto un’enorme accelerazione negli ultimi sette anni ma cominciò a formarsi dopo la fine del regime fascista di Francisco Franco che si impose durante la Guerra civile spagnola nella Seconda metà degli anni Trenta e terminò con la cosiddetta “transizione”, nella metà degli anni Settanta. Durante il franchismo, tanto in Catalogna come nel resto della Spagna, furono annullate le libertà democratiche, tra cui la libertà di stampa, e vennero dichiarati fuori legge tutti i partiti politici. Franco soppresse lo Statuto di Autonomia della Catalogna, cioè la norma isitituzionale che regola i rapporti tra lo Stato spagnolo e la regione autonoma della Catalogna, oltre che qualsiasi organo o istituzione dell’autogoverno, e vietò l’uso della lingua catalana nell’amministrazione pubblica, nelle scuole e nei mezzi di comunicazione. 
Con la fine del franchismo fu scritta la nuova Costituzione spagnola e nel 1979 fu negoziato un nuovo Statuto, con il quale la Catalogna ottenne lo status di “Comunità Autonoma” e il diritto all’autogoverno. Negli anni successivi il Parlamento catalano approvò una serie di leggi per promuovere la lingua e la cultura catalane, un processo che allora era visto come necessario per riappropriarsi dell’identità e dei diritti soppressi durante il franchismo.Mariam Tey, vicepresidente della Societat Civil Catalana (SCC) – l’organizzazione anti-indipendentista che ha organizzato la la grande manifestazione unionista dell'8 ottobre– ha raccontato al Post: «All’inizio questo movimento era molto ben accolto da un po’ tutti i catalani, perché era una risposta alla dittatura. Tutti volevamo avere una lingua e una cultura catalana più presenti nella società. Per molti anni questo movimento fu visto come una novità. Poi, quando ci accorgemmo che era la strada verso un’indipendenza radicale, era troppo tardi. Non avevamo le risorse per poterlo fermare». 
 Per molti anni in Catalogna l’indipendentismo fu una componente minoritaria delle forze politiche rappresentate in Parlamento. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila si cominciò a parlare di un approccio federale, che doveva passare per l’approvazione di un nuovo Statuto di Autonomia, anche perché quello in vigore era ormai vecchio di vent’anni. La proposta arrivò da Pasqual Maragall, che faceva parte del PSC, la sezione socialista catalana del Partito Socialista (PSOE), il principale partito di sinistra spagnolo. Maragall ottenne l’appoggio di ERC, che oggi sostiene il governo Puigdemont e che già allora era indipendentista. Iniziò così un lungo processo di riforma che si concluse nel 2006, durante il quale Convergéncia i Unió (la coalizione di centrodestra da cui nacque l’attuale PDeCAT) mantenne una posizione in generale collaborativa, ma in certi momenti molto ambigua.Va ricordato che il Tribunal constitucional spagnolo aveva dichiarato l’illegalità del referendum perché, come ha statuito la corte, le regioni non hanno il potere di proclamare l’auto-indipendenza. Bruxelles ha deciso di restare fuori dalla contesa, dichiarando la questione di competenza spagnola, sostenendo però che la sevessione porrebbe fuori dall’Ue la regione catalana.



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