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Teatro. ABELIANODANZA : Ne “L’attesa” Domenico Iannone reinterpreta Beckett

La locandina dell'evento. (foto web) ndr.

di Maria Caravella

BARI, 14 DIC. - Continua con successo, ormai al terzo appuntamento, la stagione di ABELIANODANZA con “L’attesa”, una singolare performance e personale rivisitazione di Domenico Iannone, con Mauro Losapio, Enrica Mongelli, Filippo Terlizzi e la partecipazione straordinaria di Vito Signorile. La coreografia s’ispira a una delle più famose opere teatrali di Samuel Beckett: “Aspettando Godot”, scritto verso la fine degli anni quaranta.  AbelianoDanza, a cura del maestro e coreografo Domenico Iannone, ospiterà da ottobre 2017 ad aprile 2018 importanti compagnie di danza contemporanea tra cui la Compagnia Zappalà Danza e Spellbound Contemporary Ballet. Cinque le sezioni di danza proposte da Domenico Iannone: Neoclassico, Modern, Contemporaneo, Hip Hop e Tradizione Popolare. La rassegna AbelianoDanza, si pone nell'avanguardia della ricerca del linguaggio del corpo approfondendo l'arte della danza con la partecipazione di giovani talenti e compagnie di formazione classica”.  Ne “L’attesa” Iannone si beffa della quotidianità di due individui cagionevoli, dalla dubbia identità, che si muovono sulla scena in punta di piedi nell'indecisione di una apparente fragilità. Due persone si incontrano, come in un viaggio, vivono un tratto della loro esistenza in comune e poi, più nulla. Poi ne incontrano altre due, hanno una dipendenza in comune e più niente; ruotano intorno alla loro vita giusto per percorrerla, oltrepassarla, superarla, in attesa... Sprigionano sentimenti in contraddizione: amore e insofferenza reciproca. Si cercano e si respingono. "Sono tanto vicini da farsi male. Sono persi in un tempo atemporale, in uno spazio vuoto. Vorrebbero impiccarsi". 
Dietro le quinte, al termine dello spettacolo abbiamo intervistato Domenico Iannone: Domanda: può parlarci del discorso sul viaggio che ha inteso intraprendere? Risposta: si tratta di un viaggio interiore, di due soggetti borderline che Beckett stesso, non chiarisce, lascia che siano i critici ad interpretare. Io l'ho visto come il dramma psicologico di due persone ai margini della società, qualcuno volendo ne ha anche voluto identificare l'omosessualità, ma niente di definito. In questo Beckett lascia spazio alla libera interpretazione dello spettatore. Non c'è un approdo degli eventi, lo spettacolo in ogni sua parte sembra ricominciare daccapo. Domanda: come mai questa scelta? Risposta: io ho sempre bisogno di avere come riferimento una traccia drammaturgica, sento il bisogno di raccontare, questa testo di Beckett mi intrigava in un periodo particolare della mia vita, il primo debutto è avvenuto proprio cinque anni fa a Bari, in cui ero io a calcare le scene nel ruolo di un ballerino non più giovane. Mi affascinava la problematica psicologica dell'incomunicabilità di questi personaggi. Domanda: viene anche affrontato il tema dell'incomunicabilità dell'uomo moderno? Risposta: si certo, ma anche della solitudine, del volersi raccontare e al tempo stesso la paura di farlo. Desiderio di comunicare e impossibilità nel realizzarlo... e il rischio di lasciarsi andare. Domanda: sulla scena molti gli elementi della quotidianità, cosa ha inteso simboleggiare? Risposta: si infatti, essi sono calati nel quotidiano a cominciare dagli abiti che indossano e dagli oggetti del quotidiano che maneggiano, poi c'è l'elemento androgeno della forza, che non si capisce quanto è uomo e quanto è donna.



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