Economia. Procedura per debito eccessivo contro l’Italia: realtà o terrorismo psicologico
Ue, procedura per debito eccessivo? (foto web) ndr. |
di Daniele Magnifico
BARI, 21 GIU. - L’argomento economico al centro delle polemiche di questi giorni è il rischio, per il nostro paese, di essere sottoposto a procedura d’infrazione per debito eccessivo da parte dell’Unione Europea.
Cerchiamo allora di capire di cosa si tratta, cosa può comportare e quali siano gli spazi di manovra per evitarla.
Tutto dipende dal “Patto di stabilità e crescita”, cioè da quell’insieme di regole che regolano il coordinamento delle politiche economiche dei paesi dell’Unione, il cui obiettivo è garantire la solidità delle finanze.
In proposito i paesi dell'UE devono soddisfare due criteri:
• il loro disavanzo di bilancio non deve superare il 3% del prodotto interno lordo (PIL);
• il debito pubblico non deve superare il 60% del PIL.
In questo caso, la procedura di infrazione non fa riferimento al deficit, bensì al debito, che in Italia è attualmente pari a circa il 132% del PIL.
Inoltre il nostro paese è al secondo posto di questa classifica negativa, dopo la Grecia che vanta un 182%.
Va detto che non sono molti i paesi membri che rispettano la prevista soglia del 60%; proprio per questa ragione sono previsti specifici obiettivi di abbassamento del debito: nel nostro caso, a maggio 2018 Bruxelles aveva chiesto un aggiustamento del saldo strutturale dello 0,3% e invece c'è stato un peggioramento dello 0,1%, per il 2019 era stato concordato un aggiustamento dello 0,6% e invece, al momento, si registra un peggioramento dello 0,2%.
In proposito, Dombrovskis punta il dito sulle recenti scelte politiche del governo gialloverde; tuttavia non è certo la prima volta che il rapporto debito/pil registra valori in aumento: si pensi che nel periodo 2007-2014 questo valore è costantemente aumentato, passando dal 99,70% al 131,80%, sempre senza reali conseguenze.
Sorge quindi spontaneo il sospetto che il reale bersaglio sia l’attuale governo italiano, colpevole, agli occhi di Bruxelles, di essersi finalmente ribellato a quelle regole che stanno strangolando le economie dei paesi più deboli a favore di quelle più forti, sponsorizzate dai grandi poteri finanziari.
Inoltre, se le regole europee devono essere rispettate, devono farlo tutti; ma sono anni che la Germania ha un surplus delle esportazioni superiore al previsto 6% del PIL (circa 300 miliardi di euro, il valore più alto del pianeta). Persino il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, probabilmente sotto la spinta dei nuovi assetti politici del Parlamento europeo, in una recente intervista al giornale tedesco Handelsblatt, ha parlato così della Germania e dei suoi rapporti con l’Italia: «I tedeschi amano lamentarsi degli italiani, ma anche loro hanno violato il patto di stabilità 18 volte – le ho contate – e continuano a farlo» ed inoltre «E’ vero che debito e deficit sono scesi in Germania, ma la Germania non ha ancora messo sotto controllo il suo surplus».
E se è vero che il surplus delle esportazioni è uno dei parametri soltanto “raccomandati” (benché anch’essi soggetti a sanzioni) tesi ad evitare “squilibri macroeconomici”, mentre il debito è un parametro obbligatorio, è del tutto evidente che le regole europee colpiscono lievemente (o meglio, affatto) le cause degli squilibri, mentre sono estremamente rigide con i loro effetti e con chi tenta di reagire alle iniquità di questa costruzione.
Inoltre, i primi a violare il Patto di stabilità e crescita, nel 2003, furono proprio le due maggiori economie europee, Francia e Germania, cioè quegli Stati che fanno oggi di quelle regole un dogma inviolabile e che ora sembrano aver dimenticato che furono proprio l’Italia e il Regno Unito a graziarle in quell’occasione, votando a loro favore in sede Ecofin.
Cosa comporta la procedura di infrazione?
La multa massima con cui l'UE può colpire uno Stato membro è pari allo 0,5% del PIL. Nel caso dell'Italia si aggirerebbe intorno ai 9 miliardi di euro. Si parte però da una sanzione minima equivalente allo 0,2% del PIL. Prima della loro attivazione però l’Unione europea deve dare al paese sotto procedura la possibilità di conformarsi ai parametri comunitari (dovendo riuscire a ridurre il debito pubblico di almeno il 3,5% annuo per tre anni consecutivi). Ogni sei mesi il paese sarebbe tenuto a inviare report aggiornati sul bilancio. Periodicamente, inoltre, i conti statali sarebbero sottoposti al controllo dei tecnici europei.
Potrebbero essere poi applicate anche sanzioni accessorie:
• il congelamento dei fondi strutturali, cioè dei finanziamenti che l’Unione europea dà agli stati membri per effettuare investimenti volti a favorire la crescita economica e occupazionale del Paese. Si tratta dei fondi per lo sviluppo rurale, per la coesione, per lo sviluppo regionale, per la pesca e il fondo sociale. L’Italia è tra i membri che ne beneficiano maggiormente. Il loro congelamento comporterebbe una perdita significativa per le nostre casse, si pensi che nel periodo 2014-2020 l'Italia ha potuto contare su oltre 73 miliardi disponibili a tale titolo.
• L’esclusione dal programma di acquisto dei titoli di stato da parte della BCE e l’interruzione dei prestiti concessi dalla Banca Europea degli Investimenti. Le conseguenze sarebbero l’aumento dello “spread”, e dunque un’impennata proprio del debito pubblico, nonché una probabile frenata del PIL (in pratica si renderebbe pressoché impossibile il rientro del paese sanzionato nei parametri europei).
E’ probabile che l’Italia venga effettivamente sanzionata?
In proposito mi sento di tranquillizzare i lettori. Sembra improbabile che si giunga alla reale applicazione di sanzioni. Infatti, In caso di fallimento delle trattative, si innescherebbe la complessa procedura che porta all’apertura di un processo destinato a durare svariati anni; inoltre, nella storia europea, quasi tutti gli stati membri sono stati oggetto di almeno una procedura di infrazione aperta nei loro confronti, ma nessuno ha mai ricevuto sanzioni. La Francia, per esempio, ha subito una procedura per deficit eccessivo, aperta nel 2009 e chiusa, senza alcun danno, solo nel maggio 2018; il Regno Unito ne ha una aperta da nove; Madrid è sotto procedura per deficit eccessivo dal 2009, dovrebbe uscirne l'anno prossimo, ma resterà sotto osservazione per il debito; l’Italia ne ha già avuta una aperta tra il 2009 e il 2013.
Inoltre neppure Francia e Germania hanno interesse a un aperto conflitto con l’Italia, che rischierebbe di creare un grave effetto contagio sui mercati. A favore di un’intesa con Roma sembrano poi essere anche Spagna, Portogallo e Belgio.
Infine non è irrilevante il fatto che, se scattasse ora la procedura, questa sarebbe riconducibile alla commissione uscente, per giunta a seguito di elezioni del Parlamento europeo che hanno alquanto cambiato i vecchi assetti.
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