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L'Italia ha bisogno di un "New Deal"

Palazzo Chigi con il Tricolore (foto Il Messaggero) ndr.
di Redazione

MONTE SANT'ANGELO (FG), 04 GIU. - A cura di Matteo Notarangelo, Sociologo e counselor professionale.

"Lo Stato Sociale è in pericolo. Le protezioni sociali e sanitarie sono a rischio. Il costo della sanità, della scuola, della casa, delle pensioni e delle fragilità fisiche e sociali è stato definito insostenibile. Le politiche sociali dovranno essere ripensate, ripianificate.
Dicono che la spesa sociale è cresciuta e non può essere sostenuta né dalla fiscalità né dal deficit dello Stato.
Gli imperativi della crisi sanitaria, economica e occupazionale hanno reso gravose le protezioni sociali universalistiche e lo Stato rischia la stagflazione e il riacutizzarsi del conflitto sociale. Nelle piazze, ritorna "la classe pericolosa", gli esclusi e i non garantiti.
Queste erano e sono le ragioni e le paure di chi vuole uno Stato Sociale leggero, misto e gestito dai privati, dal "quasi mercato".
Le vecchie regole dello Stato protettore non sono state sconvolte dalla crisi pandemica. Basti pensare che il rapporto del debito pubblico su PIL è aumentato del 60 % in dodici anni dal 2000 al 2012, nonostante i cospicui tagli di risorse economiche alla sanità e la chiusura di tanti ospedali.
Nei prossimi giorni, diventeranno sempre più evidenti le macerie economiche e sopra ai disastri sociali i vecchi e i nuovi neoliberisti dovranno costruire il mondo futuro, meno inclusivo e governato da una invisibile élite autoreferenziale.
Le proiezioni economiche sono preoccupanti.
Gli economisti neo-liberalisti considerano, ancora, le politiche sanitarie pubbliche una delle cause dell'indebitamento dello Stato o, addirittura, il freno alla crescita del prodotto interno lordo.

Il gioco neoliberista è fatto.
È ovvio, se scende il valore del prodotto interno lordo, bisogna rivedere le garanzie sociali del welfare state.
Questo pensiero debole giustificherà l'operato dei prossimi governi e la condivisione del debito pubblico. 

Dopo la pandemia e la crisi sanitaria, intanto, emerge quella economica e presto quella sociale.
Gran parte degli imprenditori dei settori produttivi strategici per l'economia del Paese mostrano diverse difficoltà a garantire la presenza delle loro imprese sul mercato, anche se il manifatturiero italiano resta apprezzabile.
In ogni centro abitato, i piccoli e medi operatori economici sono in grande difficoltà e non mancano occasioni per sentirli parlare di chiusura delle proprie attività.
Di loro, molti hanno cercato di investire risorse economiche per porre argine a ogni possibilità di contagio da virus.
I locali sono cambiati, fortificati di tantissimi accorgimenti sanitari che ricordano, meglio, amplificano le paure originate dal microrganismo assassino, ancora non rimosse.

Nelle città turistiche della provincia, i parcheggi sono vuoti e i centri storici sono deserti. La gente ha paura. Ha paura per la propria salute, ma ha anche paura dell'inaspettato impoverimento familiare.
Non è la crisi del 1929, ma il timore di perdere il lavoro e le storiche tutele sociali spaventano.
La paura collettiva di vivere un futuro peggiore del presente continua a preoccupare non solo le famiglie, gli imprenditori, i dipendenti, i pensionati, ma anche i governi locali e nazionali.

Dall'inizio della crisi sanitaria, il Governo ha cercato di dare alcune risposte economiche e ha riformulato le sue precedenti previsioni di bilancio.
Lo Stato ha deciso di intervenire con liquidità monetaria, scegliendo il deficit, pur sapendo che la politica straordinaria economica del Governo non è a costo zero e non prevede "pasti gratis". 

I provvedimenti legislativi emanati sono stati dettati da scelte economiche, imposte dal disastro sanitario, da uno "stato di emergenza", che hanno inciso sulla condizione di vita delle tante persone e sulla politica economica degli Stati dell'Unione Europea
Lo Stato italiano, ormai, manifesta le sue difficoltà a garantire alle persone, che vivono sul suo territorio, i servizi sociali fondamentali.
La classe politica di governo ripete, senza alcun timore, che sono in forse i diritti alla sanità, alle pensioni, alla disabilità, alla protezione dei disoccupati.

Nel dibattito locale e nazionale, ritorna l'aspro confronto con le strategie macroeconomiche delle due scuole: quella classica e quella neoclassica.
Due pensieri, due visioni che modellano la vita, il benessere di milioni di persone.
In diversi ambiti del governo, sono ancora forti le convinzioni che il mercato è più efficiente dello Stato, nonostante l'inefficienza mostrata dalla sanità privata durante la crisi pandemica.

L'idea liberista, che ha definito l'intervento dello Stato una "invasione illegittima", una privazione dell'autonomia dell'individuo economico, continua a condizionare l'opinione pubblica attraverso i mezzi d'informazione.
I suoi cantori ripetono che gli aiuti generalizzati hanno un costo elevato, pesi economici che la società non può più sostenere e tacciono sul sistema economico produttivo privato assistito dallo Stato, dalla fiscalità pubblica.
Sono affermazioni graffianti che non solo minano le basi del welfare state, ma destabilizzano la conservazione dello Stato Sociale. Sono queste alcune ragioni che motivano la classe politica di governo a riprogettare un Welfare State leggero, costruendo un nuovo "patto sociale", che escluderà la nuova "classe pericolosa" degli esclusi dalle protezioni dello Stato.

La pandemia è stata solo l'occasione per pianificare la qualità e il nuovo modo di vivere del cittadino-ricco protetto dalle sicurezze dello Stato e il cittadino-povero escluso anche dall'assistenza sanitaria.
Quanto è atto evidenzia una sconvolgente crisi dello Stato parlamentare, indebolito e screditato dal mercato, incapace di garantire la piena occupazione e un vera libera imprenditoria, che si alimenta di spesa pubblica.

In questi mesi, lo Stato ha cercato, ancora una volta, di regolare gli effetti della crisi attraverso una confusa spesa pubblica di deficit.
La sua classe politica ha emanato una decretazione disuguale per dare ai cittadini una debole protezione economica e molte risorse pubbliche alla grande impresa. Ma anche questa scelta economica non pare che sia servita a porre un rimedio alla caduta del prodotto interno lordo.
Di questa politica economica le Università italiane non ne parlano. Dei loro professori, sono pochi coloro che narrano le ragioni del positivismo e dell'utilitarismo economico.

Ma in questa Italia, cosi è.

La crisi pandemica, a cui seguirà quella economica e sociale, chiede che ogni scelta economica deve essere "misurabile e quantificabile".
Gli utilitaristi lo hanno detto in modo chiaro: "ogni persona tende con le sue azioni a incrementare il proprio piacere e il proprio benessere".
Due scuole di pensiero economico che non danno credito di sviluppo e di benessere al distribuire risorse finanziarie con l'aeroplano.

È vero, non trova una ragione nelle scienze economiche, ma in quella politica si: distribuiscono denaro pubblico per avere il controllo politico e sociale.
Sembra quasi un paradosso anche se i governanti conoscono i modi di come gli individui prendono le decisioni e "Le leggi dell'imitazione" scritte dal sociologo Gabriel Tarde.
Dare soldi pubblici e ripetere che una spaventosa crisi sta impoverendo l'Italia non serve a equilibrare il mercato, a ridurre il numero dei disoccupati e a contenere la spesa sociale.

Il danno, ormai, è stato fatto.

Il nuovo tempo impone un New Deal, che non può iniziare tassando il risparmio privato.
Se il Governo dovesse aggredire i conti correnti privati, rischierebbe di aprire una brutta stagione di rancore sociale e mostrerebbe di ignorare, in questo caso, gli elementi elementari dell'economia. John Maynard Keynes lo diceva e lo scriveva, "quel calcolo razionale non spiega il comportamento nella sua interezza. A quel calcolo, bisogna contrapporre i cosiddetti animal spiritis, gli aspetti psicologici, irrazionali che condizionano le decisioni degli individui".
E sono proprio gli animal spiritis che avviano le rivoluzioni, il conflitto sociale, della "classe pericolosa", degli esclusi.

Lo Stato Sociale è la più bella costruzione dell'uomo, distruggerlo o indebolirlo è rendere la civiltà futura sempre più arcaica, disumana.
William Henry Beveridge lo sapeva bene e durante il Secondo Conflitto Mondiale affermava che per delineare un futuro di benessere "bisognava sconfiggere cinque giganti: la necessità, la malattia, l'ignoranza, la miseria e l'oziosità".

A quanto pare, lo Stato Sociale segna la civiltà di un popolo.
I nemici del Welfare State, da diverso tempo, cercano di screditarlo, dicono che garantire a tutti il benessere sociale è uno spreco di risorse pubbliche, gestite da uno Stato ostile al libero mercato, ma, in realtà, tutti sanno che gli sprechi sono le regalie che i Governi fanno agli imprenditori amici del "quasi mercato", che temono il vero mercato libero.

In questi giorni, la classe dirigente italiana pubblicizza l'idea di finanziare la "ripresa", facendo debito.

Ebbene, il bilancio pubblico in deficit potrebbe essere una buona idea se promuovesse lavoro, investimenti e protezioni sanitaria e sociale, ma se dovesse finanziare la corruzione diventerebbe un altro insostenibile debito pubblico, oltre che reato, il vero nemico dello Stato Sociale.

L'Italia, scrivevo, ha bisogno del suo New Deal, che non può iniziare con un consistente deficit pubblico.
Se lo Stato si finanziasse con l'indebitamento pubblico rinuncerebbe alla propria autonomia, alla propria libertà, accettando lo status di colonia".



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