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Italia. Paesi fantasma in Calabria Roghudi

Roghudi vecchio (foto com.) ndr.

Roghudi vecchio. Paese fantasma dalle mille leggende 

di Redazione

BARI, 17 SETT. - Nella zona grecanica della Calabria ionica in provincia di Reggio vi è un borgo, ormai abbandonato da cinquant’anni ma pieno di fascino, Roghudi, nome derivato dal greco (Ρηχούδι) Rhekhodes (pieno di crepacci). Si trova all’interno della parte meridionale dell’Aspromonte su un ciglione a 519 metri di altitudine ed è sovrastato dai 1331 metri del Monte Cavallo lungo la strada che un tempo valicava l’Aspromonte, la stessa percorsa da Norman Douglas nel 1915, nel viaggio da Delianuova a Bova. La sua caratteristica è di essere collocato su uno sperone di roccia al centro del letto della grande fiumara Amendolea che, dopo due violente alluvioni susseguitesi a breve intervallo, ne ha determinato l’abbandono e la sua fine. La prima nel 1971 provocò morti e dispersi tanto da costringere il sindaco del tempo Antonio Romeo, per ragioni di sicurezza, a ordinarne lo sgombero coatto. Dei 1650 abitanti rimasero nel Borgo soltanto alcuni irriducibili, ma una seconda alluvione nel 1973 più terribile della precedente indusse anche questi ultimi a capitolare e da allora Roghudi assunse la triste fama di paese fantasma. Tutti gli abitanti furono trasferiti vicino a Melito Porto Salvo, a circa 40 Km di distanza, nel nuovo paese detto proprio Roghudi Nuovo tra l’altro non molto distante in linea d’aria da Pentedattilo l’altro paese fantasma dell’area grecanica reggina. Fra le precarie case, tutte costruite sul bordo del precipizio, spicca la piccola chiesa di S. Nicola custode di una Croce di legno e di numerose immagini votive dovute alla devozione di chi malgrado tutto ancora si reca a Roghudi vecchio per perpetuare la memoria del luogo natio. La sua aria diroccata unita al particolare paesaggio da cui è contornato sino in fondo al precipizio cui fa da base la larga pietraia della ormai asciutta fiumara Amendolea ne fanno il paradiso dei fotografi, dei curiosi e di coloro che non amano il turismo di massa. Roghudi vecchio oggi si presenta come un Borgo deserto, ma pieno di fascino misterioso e depositario di mille racconti che si mescolano tra storia e leggende inquietanti, i racconti si sprecano tra sogno e realtà. Sono ancora presenti lungo i muri delle case i chiodi che servivano fino a metà del secolo scorso ad assicurare a cordicelle le caviglie dei più piccoli affinché non precipitassero nel burrone, come già purtroppo successo in passato. Alcuni affermano che di notte si possano ancora sentire i loro lamenti salire dai dirupi verso il paese. Le leggende si accavallano, infatti, a poca distanza dal borgo, nella frazione abbandonata di Ghorio di Roghudi vi sono due curiose formazioni rocciose, a Rocca ru Dracu (Rocca del Drago) e le Caldaie del Latte. La prima è un grosso monolite che ha la forma della testa di un drago con incisi su un fianco due cerchi che alludono a grandi occhi; custodirebbe un tesoro inestimabile (ancora non ritrovato). Gli abitanti credevano che chi osasse avvicinarsi alla rocca, sarebbe stato travolto da una violenta folata di vento e scaraventato giù nelle acque del torrente. Le caldaie, che invece hanno la conformazione a forma di gobbe le caddhareddhi (le pentole del latte), permetterebbero al drago di nutrirsi. Il mistero continua, infatti nella contrada di Ghalipò di fronte a Roghudi, gli anziani del posto affermano che vivevano le Andrade, donne con piedi a forma di zoccoli come i muli. Il loro scopo era quello di attirare con l'inganno le donne del paese verso il fiume per ucciderle e accoppiarsi con gli uomini del villaggio; per scongiurare questa minaccia le donne fecero costruire tre ponti ancora esistenti e per proteggersi dalle loro irruzioni vennero costruiti 3 cancelli, collocati in tre differenti entrate del paese: uno a “Plachi”, uno a “Pizzipiruni” e uno ad “Agriddhea”. 
Roghudi vecchio. (foto com.) ndr.

Parte degli abitanti del vecchio borgo si è trasferita nella frazione semiabbandonata di Ghorio (in greco Χωριό, paese) di Roghudi, ubicata in una zona riparata. L’economia di questo centro è agricola, con una buona produzione di grano e olive. Vi abitano intagliatori e tessitrici di ginestra, che ripetono gli antichi motivi ornamentali della tradizione greco-latina. Gli intagliatori producono una miriade di altri oggetti caratteristici ed anche gli stampi di un prodotto molto ricercato dagli abitanti dei paesi limitrofi, un formaggio locale di pregevole qualità. Nel nuovo paese ancora oggi molti detengono un bagaglio di tradizioni che si realizzano nell’intimità dell’ambiente casalingo e si espletano in occasione delle ricorrenze religiose. La circostanza che Roghudi sia rimasto a lungo isolato ha portato al mantenimento di un particolarissimo dialetto il grecanico (o greco calabrese), una lingua che è una mescolanza tra l’antico greco dei territori della Magna Grecia e il dialetto calabrese. Il grecanico è una lingua affascinante ed enigmatica, un idioma del quale oggi sono in pochissimi i conoscitori e che, come il vecchio borgo, è destinato a sparire. Roghudi ha dato i natali a poeti grecanici come Mastr’Angelo Maesano, Francesca Tripodi, Salvatore Siviglia e Salvino Nucera di quest’ultimo esistono alcune opere come Agapào na Graspo e Chalònero (Qualecultura). Del grande poeta muratore Mastr’Angelo Maesano (Roghudi Vecchia 1915 - Roghudi Nuovo 2000) una poesia della tradizione Greco-Calabra "Ela mu kondà" “Vieni vienimi vicino” nella versione musicata viene ritenuta l’inno dei Greci di Calabria ed è stata cantata a Pentedattilo nel 2015 al Paleariza dalla cantastorie Francesca Prestia.

 
Nel ricordare il Borgo fantasma di Roghudi, i suoi abitanti e la sua storia risulta evidente che in Calabria le pietre non sono mai soltanto pietre, ma sono anche storia, cultura e tradizione.



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