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Paesi fantasma in Calabria, Pentedattilo

Pentedattilo (foto web) ndr.
di Giuseppe Femiano

BARI, 16 SET. - La Calabria sicuramente al pari della Sicilia è una delle più belle regioni d’Italia, anche se a differenza di quest’ultima è meno valorizzata e poco considerata dagli stessi calabresi. La nostra regione nasconde tante preziose perle in grado di poter competere con i territori più belli del mondo e molte di esse molto spesso abbandonate a loro stesse sono ormai vere e proprie città fantasma. Questi paesi sono sparsi in tutta la Calabria, mi riferisco a Pentedattilo (RC), Roghudi Vecchio (RC), Cirella Vecchia (CS), Africo Vecchio (RC), Papaglionti (VV), Panduri (RC), etc.
La Calabria ed in particolare Reggio e la sua provincia vengono descritti e soprattutto illustrati per la prima volta nel 1847 da Edward Lear pittore e scrittore nel suo “Diario di un viaggio a piedi... Reggio Calabria e la sua provincia “. Il racconto serve anche meglio a comprendere la Calabria e le caratteristiche e la psicologia dell’uomo calabrese visti oltre un secolo e mezzo fa da sguardo attento di un viaggiatore "straniero".
Oggi mi corre l’obbligo di parlare di un paese fantasma della area greca della Calabria, mi riferisco a Pentedattilo situato sulla costa ionica reggina subito dopo Capo d’Armi e poco prima di Melito Porto Salvo, vicinissimo al punto ove, eludendo la sorveglianza borbonica sullo stretto di Messina, sbarcò Garibaldi la notte tra il 18 e il 19 agosto 1860. Garibaldi con 1200 Camicie Rosse era a bordo del piroscafo Franklin e Bixio con altre 3000 era sul Torino.

Pentedattilo

(dal greco πέντα-δάκτυλος, pènta-dàktylos, cioè "cinque dita")

Si colloca tra le più belle memorie di viaggio di Lear. La visione - scriveva in “Diario di un viaggio a piedi” - è così magica che compensa di ogni fatica sopportata per raggiungerla: selvagge e aride guglie di pietra lanciate nell’aria, nettamente delineate in forma di una gigantesca mano contro il cielo (...) mentre l’oscurità e il terrore gravano su tutto l’abisso circostante.
Il nome del borgo deriva dalla strana forma della rupe del Monte Calvario che ricorda una ciclopica mano con cinque dita. Il bellissimo e suggestivo borgo è stato svuotato degli abitanti per le migrazioni e per le continue minacce naturali, terremoti e alluvioni, (infatti le cinque dita della montagna sono crollate rimane il carpo “la mano senza dita”). Per lungo tempo è stato il paese fantasma più suggestivo della costa calabrese. Il borgo è stato riportato in vita dalla Proloco Pentedattilo e grazie anche ai ragazzi dei Campi della legalità Arci e Libera che giungono ogni anno si trasforma in un centro di ospitalità diffusa. Il borgo è avvolto da una leggenda che ruota intorno al castello e vede protagonista la dinastia degli Alberti.
Si narra che la notte di Pasqua del 1686 due famiglie furono protagoniste di una strage sanguinaria. Il barone Bernardino Abenavoli voleva prendere in moglie Antonietta Alberti, ma la donna fu chiesta in sposa e concessa da Lorenzo Alberti a Don Petrillo Cortes, figlio del viceré di Napoli. Questa notizia indusse l’ira passionale del barone che la notte di Pasqua, grazie al tradimento di Giuseppe Scrufari, servo infedele degli Alberti, si introdusse all’interno del castello di Pentedattilo con un gruppo di uomini armati. Giunto nella camera da letto di Lorenzo, lo sorprese durante il sonno sparandogli due colpi di archibugio e finendolo con 14 pugnalate e costringendo Antonietta a sposarlo. Il vicerè Cortez, inviò una sua spedizione per vendicarsi e fece uccidere tutti gli uomini di Bernardino. Il barone fortunosamente fuggì portando con sé Antonietta, a Vienna. L’epilogo fu che il barone entrò nell’esercito e la donna in convento di clausura. La strage porta con sé altre leggende come quella che, nelle notti di vento, tra le gole della mano del Diavolo si possono ancora udire le urla di dolore di Lorenzo Alberti. Pentedattilo è uno di quei luoghi ove realtà, ricordi e fantasia si mescolano. Diceva l’inglese Harold Pinter scrittore e poeta “A volte ci si ricorda di cose anche se non sono mai accadute. Io ricordo cose che magari non sono mai accadute, ma proprio perché le ricordo diventano reali”. Ogni estate, Pentedattilo è sede del festival itinerante "Paleariza", importante evento della cultura grecanica; e tra agosto e settembre della rassegna cinematografica internazionale di cortometraggi "Pentedattilo Film Festival".
Il suggerimento è di recarsi verso l’ora del tramonto per ammirare la bellezza dei suoi rapidi colori, sereni e cangianti che con gli ultimi raggi del sole si perdono nel mare dello stretto dominati dal fumante Etna sullo sfondo. Man mano che arriva la sera cominciano a diffondersi le luci delle case adagiate laggiù alla marina ed appaiono quelle della Sicilia posta di fronte. Quasi a curiosare, dall’alto della sua possanza, l’Etna continua placidamente a fumare e nelle cui viscere il dio Vulcano, (data la zona greca della Calabria mi sia consentito chiamarlo Efesto in greco antico: Ἥφαιστος, Hēphaistos) riposa lasciando la sua fucina accesa e non mandando lapilli come quando invece ricorda i continui tradimenti di Venere Afrodite (in greco antico: Ἀφροδίτη, Aphrodítē). Per meglio deliziarsi oltre che negli occhi e nello spirito vi consiglio di prenotare a “La Cantina di Nonno Nino” Si trova alla fine della salita S. Pietro, ove dai tavoli posti lungo un panoramico parapetto potrete deliziare non solo la vista, ma anche gustare una Pentedattilo saporita. Piatti deliziosi, superbi e tipici della tradizione calabrese. Non suggerisco cosa mangiare o come libare, ma fatevi condurre per mano dal gestore Domenico Foti.
A tutti Voi buona visione e buon appetito.



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