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Il Csm boccia gli emendamenti alla riforma della giustizia

Il CSM. (foto Agi) ndr.

"Rilevanti e drammatiche potrebbero essere le ricadute pratiche" scrive la sesta commissione nel parere che sarò discusso giovedì dal plenum dell'organo di autogoverno della magistratura 

di Redazione

ROMA; 27 LUG. (AGI) - "Rilevanti e drammatiche potrebbero essere le ricadute pratiche" della riforma su prescrizione e improcedibilità delineata dagli emendamenti del governo al ddl penale, "in ragione della rilevante situazione di criticità di molte delle Corti d'appello italiane". Lo scrive la Sesta Commissione del Csm nel parere che giovedì mattina sarà discusso in plenum. Al testo vengono anche allegati alcuni dati, i quali, rileva la Commissione, "dimostrano che i termini fissati dal legislatore, soprattutto per la fase di appello, sono largamente inferiori a quelli medi registrati negli ultimi anni e che oscillano dai 4 ai 5 anni: per cui, la previsione di un termine di durata pari a due anni (uno nel giudizio di Cassazione), prorogabile solo in casi determinati e per tempo breve, finirebbe per non essere allineata neppure con il dato reale". La Commissione, in particolare, prende come riferimento i dati dell'anno 2019, ritenuto "più attendibile" perché non influenzato dagli effetti della contrazione dell'attività giudiziaria avvenuta nel 2020 a causa della pandemia: da tali dati, si legge nel testo che sarà all'esame del plenum giovedì, "si evince che, almeno in un terzo dei distretti, i tempi medi di definizione del processo sono inferiori a due anni" e che "nei rimanenti distretti si registrano tempi di definizione superiori a due anni, con picchi molto elevati nei distretti di Napoli (2.031 giorni), Reggio Calabria (1.645 giorni), Catania (1.247 giorni), Roma, (1.142 giorni), Lecce (1.111 giorni), Sassari (1.028 giorni), Venezia (996 giorni)". La Commissione conclude dunque il suo parere manifestando "le più serie preoccupazioni in ordine alle conseguenze che potrebbero derivare, soprattutto in termini di ricadute pratiche per gli uffici giudiziari, dall'approvazione della riforma prospettata". "Irrazionalità complessiva" del sistema delineato con gli emendamenti del Governo al ddl penale: è la critica che la Commissione rivolge al meccanismo di prescrizione e improcedibilità contenuto nella riforma. "Un sistema che, da un canto sterilizza il decorso della prescrizione con la pronuncia della sentenza di primo grado, allo scopo di non ostacolare l'accertamento del reato, l'eventuale ascrizione delle responsabilità e l'irrogazione della pena - scrive la Commissione nel documento che sarà proposto all'attenzione del plenum - dall'altro riduce drasticamente i tempi dell'accertamento attraverso l'introduzione di un istituto processuale che, al superamento di predeterminati termini nei gradi successivi del giudizio, paralizza l'azione penale, con ricadute, sul piano della punibilità, non dissimili da quelle derivanti dall'estinzione del reato per prescrizione e con effetti più radicali". La nuova disciplina dell'improcedibilità, aggiunge ancora la Commissione, "parrebbe anzitutto entrare in frizione con il principio di obbligatorietà dell'azione penale", e "notevoli perplessità - si legge nel parere che sara' sottoposto al vaglio del plenum - emergono anche sul piano del rispetto del principio di uguaglianza". "In costanza della pienezza della potestà punitiva dello Stato, incisa solo dall'estinzione del reato per prescrizione, uno sbarramento alla prosecuzione del processo collegata al mero decorso del tempo di durata dei giudizi di impugnazione (e l'ulteriore effetto di un travolgimento delle decisioni già intervenute) implica - si legge ancora nel documento votato a maggioranza in Commissione - una rinuncia all'accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità", che "lede l'interesse pubblico" del processo "all'attuazione della legge penale in funzione della tutela di beni giuridici, individuali e collettivi", "compromette i diritti facenti capo alla singola vittima del reato", "determina un irragionevole spreco di attività processuali" e "nuoce allo stesso imputato nei casi in cui sia stato assolto in primo grado, o addirittura anche in secondo grado, costringendolo alla difficile alternativa di scegliere tra la definizione processuale e il rischio della rinuncia alla stessa". Un "possibile contrasto della regola dettata con l'attuale assetto dei rapporti tra i poteri dello Stato" rileva poi la Commissione in relazione alla norma sui criteri di priorità contenuta nella riforma del processo penale. "La previsione - si legge nel parere - attribuisce al potere legislativo il compito di indicare gli ambiti entro i quali l'intervento giurisdizionale è ritenuto prioritario, in tal modo orientando la funzione giudiziaria nella delicata fase delle indagini preliminari alla persecuzione di specifiche fattispecie di reato riconducibili ad aree di criminalità, la cui individuazione rispecchierà, inevitabilmente e fisiologicamente, le maggioranze politiche del momento".



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