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L’inadempimento e i mezzi di tutela preventiva e repressiva a disposizione del creditore

L'inadempimento contrattuale (foto)

di Carmen Russo

BARI, 21 Feb. - L’esistenza di un rapporto obbligatorio, rapporto con il quale una parte (debitore) assume il dovere giuridico di tenere una determinata prestazione in favore dell’altra parte (creditore), rappresenta il presupposto dell’inadempimento e il debitore è ritenuto inadempiente quando il medesimo tiene un comportamento difforme rispetto a quello per il quale si è obbligato, ovvero non esegue esattamente la prestazione dovuta o lo stesso non è stato diligente e non è stato capace di porre in essere l’esatto adempimento. Quando poi non è possibile dimostrare che l’inadempimento o che il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore, questi risponde della responsabilità contrattuale e, pertanto, è tenuto al risarcimento del danno subito dal creditore per la mancata esecuzione della prestazione. In particolare, nei contratti a prestazioni corrispettive, contratti con cui il sacrificio di ciascuna delle parti trova la sua giustificazione nella controprestazione che deve essere eseguita dall’altra, l’ordinamento giuridico prevede in favore del creditore che si trovi ad affrontare la situazione di inadempienza del proprio debitore una serie di azioni quale mezzo di tutela preventiva e repressiva. Il legislatore del 1942 ha, infatti, previsto all’art. 1453 del cod. civ. la risoluzione del contratto per causa di inadempimento, stabilendo che in caso di inadempimento di una delle parti l’altra può o insistere per l’adempimento degli accordi esperendo l’azione di manutenzione con cui si chiede la condanna della controparte a eseguire la prestazione non ancora adempiuta, oppure porre nel nulla l’intero rapporto contrattuale con l’azione di risoluzione. 

Comunque, in entrambi i casi, il contraente non inadempiente ha diritto a chiedere il risarcimento dei danni subiti, avuto riguardo per il fatto che nel primo caso il danno è commisurato in relazione al solo ritardo con cui la prestazione ancora possibile viene eseguita, nel secondo caso, invece, deve essere necessariamente valutato in relazione al pregiudizio che il contraente ha subito per non aver ricevuto la prestazione promessa, considerando che l’attore in risoluzione non è tenuto a eseguire la controprestazione e ove l’abbia già eseguita ha diritto a chiedere la restituzione. Non può non osservarsi, inoltre, che ai fini della risoluzione non basta accertare l’esistenza del fatto oggettivo del mancato o del tardivo adempimento, ma occorre altresì accertare che l’inadempiente sia imputabile quanto meno a titolo di colpa, dovendosi dunque accertare quale sia l’effettiva volontà del debitore a sottrarsi ingiustamente alla prestazione dovuta. Per quel che concerne il rapporto tra azione di adempimento e azione di risoluzione si osserva che se viene proposta la prima la parte non si preclude il diritto di cambiare idea e di chiedere successivamente la risoluzione del contratto ove ciò sia più conveniente, viceversa una volta chiesta la risoluzione non si può più chiedere l’adempimento. La legge pone questo principio in quanto la parte che chiede la risoluzione implicitamente dichiara di non avere più interesse all’osservanza del contratto e perciò l’altro contraente giustamente può ritenersi ormai dispensato dall’onere di predisporre quanto occorrerebbe per l’esecuzione della prestazione, cosicché potrebbe essere pregiudicato oltre limiti ragionevoli, qualora dovesse successivamente far fronte ad una nuova richiesta. 

In un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive, la parte non soddisfatta prima di chiedere l’eventuale risoluzione del contratto può esperire i mezzi di tutela preventiva disciplinati agli artt. 1460 – 1462. In particolare, in base al principio generale di autotutela di cui all’art.1460, ciascun contraente può rifiutare la prestazione in costanza di inadempimento della controparte, opponendo l’exceptio indimpleti contractus, eccezione di inadempimento che è opponibile non solo per il fatto che la stessa si riferisca ad un contratto dal quale derivano obbligazioni per entrambe le parti, ma in quanto sussiste un rapporto di corrispettività tra la prestazione non adempiuta e quella di cui si pretende sia stato rifiutato l’adempimento. Inoltre, per la legittima proposizione dell’eccezione di inadempimento è necessario che la prestazione non adempiuta non sia di lieve importanza e che l’inadempiente non sia contrario a buona fede ovvero non sia determinato da motivi non corrispondenti alle finalità per le quali esso è concesso dalla legge. In caso di denunce di inadempienze reciproche l’eccezione di inadempimento può essere sollevata dal convenuto per opporsi alla domanda di risoluzione, previa valutazione comparativa del comportamento di entrambe le parti inadempienti. 

E’, infatti, necessario dar luogo ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di entrambe le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi e all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile della trasgressione maggiormente rilevante e causa del comportamento della controparte nonché della conseguente alterazione del sinallagma.


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