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Tennis. Pozzi il self made player

Gianluca Pozzi. (foto)

di Redazione

BARI, 14 Mar. - Il suo braccio sinistro era talmente pericoloso da avergli fatto meritare il soprannome di "McEnroe italiano". Gianluca Pozzi ha solcato i campi per un ventennio raggiungendo l'apice della sua carriera in età matura. Andre Agassi lo stimava tantissimo ("Pozzi è come il buon vino, migliora con l'età") e, dando ragione al ‘Kid’ di Las Vegas, nel gennaio del 2001, a 36 anni, il barese ha ottenuto il miglior piazzamento in carriera raggiungendo il 40esimo posto nel ranking ATP. Pozzi ha vinto numerosi Challenger e oltre a trionfo nel torneo ATP di Brisbane del 2000 ha ottenuto notevoli risultati nei tornei maggiori, raggiungendo la finale a Vienna, i quarti ad Halle, Marsiglia e Nottingham e gli ottavi a Wimbledon e agli US Open. Dotato di uno stile "all'antica", si è fatto da solo e ha impartito lezioni di tennis ai giovani che oggi vedono nella potenza e nella forza fisica il mix perfetto per vincere. A questo proposito dichiarò: "Quando smetteremo io e Fabrice Santoro dovrete accontentarvi del tennis dei bombardieri". Ancora oggi la vede così come conferma in un’intervista con Sportal.it. 

Qual è la forza in più che può avere un self made player rispetto ad un giocatore cresciuto dalla Federtennis? 

"Più che una differenza tra chi ha seguito un percorso personale e chi è stato allevato dalla federazione è più una questione di forza interiore. Al contrario di quello che è successo a me, se hai una guida in teoria ti può facilitare il percorso però questo è uno sport in cui ci vuole molta forza dal punto di vista psicologico, una cosa che solo tu puoi sviluppare. Magari l'aiuto di qualcuno che l'ha fatto prima di te può tornarti utile, però se ci arrivi da solo e quindi hai seguito un percorso personale e sei riuscito a superare tutti gli ostacoli che incontri hai comunque sviluppato una ulteriore forza". 

Oltre alle doti mentali, quali sono le qualità importanti che oggi sono richieste per essere un top player? 

"Il tennis è uno sport in cui ci vuole una certa tecnica. La prima cosa è avere una tecnica fuori dal comune. E' chiaro che poi arrivati ad un certo livello in cui il divario tra i giocatori sono molto piccolo, i particolari fanno la differenza. La forza mentale sicuramente sì perché è uno sport individuale e di concentrazione. Le partite possono durare 4 ore e anche di più quindi anche le capacità fisiche servono". 

In quale dei giocatori italiani attuali ti rivedi di più e cosa ne pensi dei giovanissimi come Napolitano o Quinzi? 

"Come tipo di gioco nessuno. Oggi la maggior parte dei tennisti si basa più sulla forza e sulla potenza e un po' meno sul tocco. Pochissimi si fiondano a rete, cercano tutti il punto da fondocampo. Ci sono buonissimi elementi che stanno ottenendo notevoli risultati nello Junior, qualche primo risultato arriva anche a livello pro e ci sono anche altri due o tre giovani abbastanza interessanti e si spera che continuino a crescere come stanno facendo". 

Per te oggi il tennis cos'è diventato? 

"Personalmente è comunque una passione. Mi è sempre piaciuto molto giocare a tennis anche se poi è diventato il mio lavoro e comunque per l'impegno che richiede devi aver passione oltre che ad essere professionale ed allenarti. Tuttora sono nel mondo nel tennis: ho una accademia vicino a Milano e abbiamo qualche giovane interessante. Spero di poter trasmettere le mie esperienze da professionista e spero che crescano più giocatori possibili in Italia ". 

Qual è la partita o il torneo che hai disputato al quale associ i ricordi più belli?  

"Una partita in particolare non c'è. Alcune vittorie importanti sono state quelle del torneo ATP Brisbane International dove ho battuto in finale Krickstein che comunque era un giocatore di vertice, oppure quella su Safin (Queen's 7-5, 7-6), o su Lendl (Marsiglia 6-4, 5-7, 6-4 ). Forse la partita che la gente si ricorda di più perché era andata in diretta in tv è un match dello Slam degli US Open nel quale ho perso 6-4 al quinto set contro Safin, che poi ha vinto il torneo. In molti si ricordano di quella partita perché l'hanno vista, capita che le persone per strada a volte mi chiedano di quel match". Una grandissima gioia? "Sì, perché anche se ho perso di misura, quella sfida è rimasta nella mente delle persone ed è comunque un traguardo tagliato anche quello: lo sport è anche intrattenimento quindi se dai una sensazione positiva hai comunque raggiunto il risultato”.



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