'La Buona Politica' - OMAGGIO ALLA NOBILE ARTE DELLA DIPLOMAZIA - Henry Heinz Alfred Kissinger
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Henry kissinger. (foto com.) ndr. |
di Cosimo Imbimbo
BARI, 15 APR. - Henry Heinz Alfred Kissinger nasce a Fürth, città della Franconia (regione a
nord della Baviera), il 27 maggio 1923. Sebbene di origini tedesche il suo nome
rimane nella storia moderna per la sua attività di politico statunitense;
segretario di stato sotto la presidenza sia di Richard Nixon che di Gerald
Ford, a lui è stato intitolato il premio Nobel per la pace nel 1973. Uomo di
notevole temperamento l’ex segretario di stato americano ipotizza la nascita di
un sistema globale di equilibrio tra le potenze, più simile al sistema del
concerto delle nazioni del diciottesimo e del diciannovesimo secolo seguito
alla pace di Vestfalia (1648) e al Congresso di Vienna (1815), piuttosto che
alla rigidità dello schema bipolare predominante nei 40 anni della guerra
fredda.
Pochi osservatori possono vantare una conoscenza dei rapporti tra la Cina e l’Occidente pari a quella di Henry Kissinger è stato il fautore della politica di riavvicinamento tra Stati Uniti e Cina negli anni Settanta. Prima ancora degli studi accademici, è l’esperienza personale il vero motore del suo ultimo libro, On China, un’analisi solida e approfondita dell’universo politico cinese, egli ricostruisce le radici storiche e culturali dell’approccio di Pechino alla politica estera e delle differenze con la visione statunitense, provando a tracciare gli scenari dei complessi rapporti tra i due paesi. Realista classico, rifiuta però l’idea che, in futuro, un conflitto tra Cina e Stati Uniti sarà reso inevitabile dalla crescita della prima e dal declino relativo dei secondi. Il mondo, scrive, non è destinato a rivivere le tensioni che portarono alla prima guerra mondiale un’Europa in cui un indebolito Regno Unito si vedeva minacciato dall’emergere di una Germania riunificata e ambiziosa. Cina e Stati Uniti devono fare i conti con problemi interni e, inoltre, il potenziale distruttivo delle armi nucleari fa pensare che oggi un conflitto si svolgerebbe sui piani economico e sociale, più che su quello militare. Una competizione per l’egemonia geopolitica in Asia, infine, incontrerebbe l’ostilità delle altre potenze della regione, non disposte ad appoggiare una politica di mero contenimento di Pechino - che li priverebbe di un partner commerciale indispensabile -, o a sostenere l’aspirazione cinese a escludere Washington dagli affari asiatici - che li priverebbe di un alleato che garantisce sicurezza e stabilità regionale.
Ragione che racchiude un saggio punto di vista da tenere in considerazione. Seppure momenti di alta tensione si sono verificati con la guerra in Vietnam, che aggravava una crisi economica già caratterizzata da un deficit crescente della bilancia americana, da una pesante inflazione, e dall’aumento della disoccupazione, rischiava di mettere seriamente in difficoltà il governo, pressato dalle continue manifestazioni popolari di malcontento. Era necessario pertanto da un lato trovare un accordo con Mosca sulla limitazione degli armamenti, al fine di evitare un eventuale pareggiamento del potenziale bellico, dall’altro ridurre l’impegno americano in Asia. Celebre inoltre quando il 5 febbraio 1969 Henry Kissinger, Consigliere per la Sicurezza nazionale, richiese uno studio sulla politica cinese, che analizzasse le seguenti problematiche: lo stato dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina comunista, la natura della minaccia cinese e le sue intenzioni in Asia, l’interazione tra la politica americana e quella delle altre maggiori potenze verso Pechino e infine le riflessioni sulla rivalità sovietica furono determinanti nella scelta di Nixon di accelerare il percorso di riavvicinamento a Pechino, che proseguì nel 1970 con la riapertura dei colloqui di Varsavia.
La possibilità di trovare approcci alternativi alla questione, valutando i relativi costi e rischi. Personaggio arguto ed ingegnoso a tratti dotato di un magnetico cinismo plastico reincarnazione dell'Italico Machiavelli, notevole risulterà il suo approccio storicistico quale elemento prezioso per chi vuol capire e non arrendersi alle propagande, è da rimarcare anche l’appello affinché non si isolino i cinesi, se ne comprendano le radici storiche, si impari dal loro passato. Su quest'idea , l’ex segretario di Stato Usa esorta l’Occidente a non commettere errori che porterebbero a conflitti dagli esiti non prevedibili e che per un secolo, afferma, bloccherebbero lo sviluppo dell’area del Pacifico.
Pochi osservatori possono vantare una conoscenza dei rapporti tra la Cina e l’Occidente pari a quella di Henry Kissinger è stato il fautore della politica di riavvicinamento tra Stati Uniti e Cina negli anni Settanta. Prima ancora degli studi accademici, è l’esperienza personale il vero motore del suo ultimo libro, On China, un’analisi solida e approfondita dell’universo politico cinese, egli ricostruisce le radici storiche e culturali dell’approccio di Pechino alla politica estera e delle differenze con la visione statunitense, provando a tracciare gli scenari dei complessi rapporti tra i due paesi. Realista classico, rifiuta però l’idea che, in futuro, un conflitto tra Cina e Stati Uniti sarà reso inevitabile dalla crescita della prima e dal declino relativo dei secondi. Il mondo, scrive, non è destinato a rivivere le tensioni che portarono alla prima guerra mondiale un’Europa in cui un indebolito Regno Unito si vedeva minacciato dall’emergere di una Germania riunificata e ambiziosa. Cina e Stati Uniti devono fare i conti con problemi interni e, inoltre, il potenziale distruttivo delle armi nucleari fa pensare che oggi un conflitto si svolgerebbe sui piani economico e sociale, più che su quello militare. Una competizione per l’egemonia geopolitica in Asia, infine, incontrerebbe l’ostilità delle altre potenze della regione, non disposte ad appoggiare una politica di mero contenimento di Pechino - che li priverebbe di un partner commerciale indispensabile -, o a sostenere l’aspirazione cinese a escludere Washington dagli affari asiatici - che li priverebbe di un alleato che garantisce sicurezza e stabilità regionale.
Ragione che racchiude un saggio punto di vista da tenere in considerazione. Seppure momenti di alta tensione si sono verificati con la guerra in Vietnam, che aggravava una crisi economica già caratterizzata da un deficit crescente della bilancia americana, da una pesante inflazione, e dall’aumento della disoccupazione, rischiava di mettere seriamente in difficoltà il governo, pressato dalle continue manifestazioni popolari di malcontento. Era necessario pertanto da un lato trovare un accordo con Mosca sulla limitazione degli armamenti, al fine di evitare un eventuale pareggiamento del potenziale bellico, dall’altro ridurre l’impegno americano in Asia. Celebre inoltre quando il 5 febbraio 1969 Henry Kissinger, Consigliere per la Sicurezza nazionale, richiese uno studio sulla politica cinese, che analizzasse le seguenti problematiche: lo stato dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina comunista, la natura della minaccia cinese e le sue intenzioni in Asia, l’interazione tra la politica americana e quella delle altre maggiori potenze verso Pechino e infine le riflessioni sulla rivalità sovietica furono determinanti nella scelta di Nixon di accelerare il percorso di riavvicinamento a Pechino, che proseguì nel 1970 con la riapertura dei colloqui di Varsavia.
La possibilità di trovare approcci alternativi alla questione, valutando i relativi costi e rischi. Personaggio arguto ed ingegnoso a tratti dotato di un magnetico cinismo plastico reincarnazione dell'Italico Machiavelli, notevole risulterà il suo approccio storicistico quale elemento prezioso per chi vuol capire e non arrendersi alle propagande, è da rimarcare anche l’appello affinché non si isolino i cinesi, se ne comprendano le radici storiche, si impari dal loro passato. Su quest'idea , l’ex segretario di Stato Usa esorta l’Occidente a non commettere errori che porterebbero a conflitti dagli esiti non prevedibili e che per un secolo, afferma, bloccherebbero lo sviluppo dell’area del Pacifico.
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