'La Buona Politica' - Carlo Levi. "Cristo si e' fermato a Eboli"
Carlo Levi. (foto com.) ndr. |
di Cosimo Imbimbo
BARI, 8 LUG. - Carlo Levi (Torino, 29 novembre 1902 – Roma, 4 gennaio 1975) è stato scrittore e pittore tra i più significativi narratori del Novecento
Levi in questo racconto ripercorre la sua condanna al confino a causa delle sue convinzioni antifasciste, a Gagliano, un piccolo paese della Lucania. Appena arrivato, il protagonista viene preso dallo sconforto e da un senso di morte che la vita oziosa e monotona del paese sembra suggerirgli. Si avverte subito, fin dalle prime pagine, il contrasto tra il protagonista da una parte, medico settentrionale, colto ed evoluto, e dall'altra parte l'ignoranza, le superstizioni e la grettezza che non riguardano solo i poveri contadini ma anche le "autorità " del paese (sindaco, segretario comunale, farmacista).
Lo scrittore torinese racconta tutto ciò in un libro che è per metà diario e per metà romanzo, facendo ricorso ad una prosa nitida, emotivamente partecipata, con numerose e interessanti digressioni storiche, sociologiche, antropologiche Indimenticabili le notazioni sulla civiltà contadina, il brigantaggio, i riti magici delle plebi meridionali. Notevole è l'abilità , che gli deriva probabilmente dal suo mestiere principale, quello di pittore, con cui sa tratteggiare personaggi, animali, cose, con pochi sapienti, eleganti e precisi tocchi. «Il fascismo non è che l'ultimo volto dell'oppressione, violento, inerte e irrazionale, che nega, ai contadini, un'efficace lotta contro la malaria, un'assistenza sanitaria decente, la prospettiva di un futuro migliore» e a lui medico che potrebbe aiutarli in qualche modo viene impedito di esercitare la professione, malgrado la fiducia della gente. Ma anche per i signori, per i più colti, lo Stato è un'entità astratta, la lotta politica e ideologica è soltanto uno strumento per alimentare la loro brama di potere. Più importanti sono gli odi, le inimicizie, i rancori contingenti. Il libro dunque è il risultato di quell’esperienza di vita che ha cambiato radicalmente il modo di vedere e sentire le cose, soprattutto alla luce del difficile momento storico che l’Italia si vede costretta a vivere, egli diviene il testimone della presenza di un altro tempo all'interno del nostro tempo, è l'ambasciatore d'un altro mondo all'interno del nostro mondo. Possiamo definire questo mondo il mondo che vive fuori della nostra storia di fronte al mondo che vive nella storia.
Rocco Scotellaro disse: «Cristo si è fermato a Eboli è il più appassionante e crudele memoriale dei nostri paesi», mentre Asor Rosa in Scrittori e popolo afferma «Levi giudica la realtà secondo gli schemi semi-mitici dell’Uomo e della Storia. Ma l’Uomo a cui guarda, e la Storia, secondo cui giudica, non restano opinioni generali, volontaristiche affermazione di verità . Egli non esce dal campo del Mito, anzi per lui la realtà descritta tende sempre a diventare anch’essa mito ma come accade talvolta, il Mito s'incarna in lui in una figura concreta». Nota curiosa nella ricerca della solitudine, l'unico luogo che Carlo Levi trovò era il cimitero, posizionato poco fuori dal paese. Qui egli soleva sdraiarsi sul fondo di una fossa per contemplare il cielo e lì si addormentava con il cane Barone ai suoi piedi. Il cimitero era anche l'unico posto dove il paesaggio rompeva la sua monotonia. Era qui perciò che Levi prendeva l'abitudine di dipingere, spesso sorvegliato da un carabiniere mandato dal troppo prudente podestà . Il fatto che è esiliato lo fa sembrare fuori dal suo tempo e in un certo modo sempre contemporaneo. Inoltre riesce a guardare e ad analizzare le persone e il mondo intorno a lui in modo distaccato e realistico. E’ per questo che riesce a cogliere gli aspetti fondamentali della mentalità e della civiltà contadina. Per tutti questi motivi, Cristo si è fermato ad Eboli non è solo un romanzo autobiografico, ma anche un'attenta analisi storico-politica sul Meridione e sulle ragioni della sua cronica arretratezza; non a caso, il libro venne inizialmente pubblicato da Einaudi in una collana di saggistica, suscitando un dibattito acceso anche in Parlamento
Lo scrittore torinese continuerà nel dopoguerra la sua attività di giornalista, in qualità di direttore del quotidiano romano Italia libera, partecipando a iniziative e inchieste politico-sociali sull'arretratezza del MEZZOGIORNO D'ITALIA, e per molti anni collaborerà con il quotidiano La Stampa di Torino.
Lo scrittore torinese racconta tutto ciò in un libro che è per metà diario e per metà romanzo, facendo ricorso ad una prosa nitida, emotivamente partecipata, con numerose e interessanti digressioni storiche, sociologiche, antropologiche Indimenticabili le notazioni sulla civiltà contadina, il brigantaggio, i riti magici delle plebi meridionali. Notevole è l'abilità , che gli deriva probabilmente dal suo mestiere principale, quello di pittore, con cui sa tratteggiare personaggi, animali, cose, con pochi sapienti, eleganti e precisi tocchi. «Il fascismo non è che l'ultimo volto dell'oppressione, violento, inerte e irrazionale, che nega, ai contadini, un'efficace lotta contro la malaria, un'assistenza sanitaria decente, la prospettiva di un futuro migliore» e a lui medico che potrebbe aiutarli in qualche modo viene impedito di esercitare la professione, malgrado la fiducia della gente. Ma anche per i signori, per i più colti, lo Stato è un'entità astratta, la lotta politica e ideologica è soltanto uno strumento per alimentare la loro brama di potere. Più importanti sono gli odi, le inimicizie, i rancori contingenti. Il libro dunque è il risultato di quell’esperienza di vita che ha cambiato radicalmente il modo di vedere e sentire le cose, soprattutto alla luce del difficile momento storico che l’Italia si vede costretta a vivere, egli diviene il testimone della presenza di un altro tempo all'interno del nostro tempo, è l'ambasciatore d'un altro mondo all'interno del nostro mondo. Possiamo definire questo mondo il mondo che vive fuori della nostra storia di fronte al mondo che vive nella storia.
Rocco Scotellaro disse: «Cristo si è fermato a Eboli è il più appassionante e crudele memoriale dei nostri paesi», mentre Asor Rosa in Scrittori e popolo afferma «Levi giudica la realtà secondo gli schemi semi-mitici dell’Uomo e della Storia. Ma l’Uomo a cui guarda, e la Storia, secondo cui giudica, non restano opinioni generali, volontaristiche affermazione di verità . Egli non esce dal campo del Mito, anzi per lui la realtà descritta tende sempre a diventare anch’essa mito ma come accade talvolta, il Mito s'incarna in lui in una figura concreta». Nota curiosa nella ricerca della solitudine, l'unico luogo che Carlo Levi trovò era il cimitero, posizionato poco fuori dal paese. Qui egli soleva sdraiarsi sul fondo di una fossa per contemplare il cielo e lì si addormentava con il cane Barone ai suoi piedi. Il cimitero era anche l'unico posto dove il paesaggio rompeva la sua monotonia. Era qui perciò che Levi prendeva l'abitudine di dipingere, spesso sorvegliato da un carabiniere mandato dal troppo prudente podestà . Il fatto che è esiliato lo fa sembrare fuori dal suo tempo e in un certo modo sempre contemporaneo. Inoltre riesce a guardare e ad analizzare le persone e il mondo intorno a lui in modo distaccato e realistico. E’ per questo che riesce a cogliere gli aspetti fondamentali della mentalità e della civiltà contadina. Per tutti questi motivi, Cristo si è fermato ad Eboli non è solo un romanzo autobiografico, ma anche un'attenta analisi storico-politica sul Meridione e sulle ragioni della sua cronica arretratezza; non a caso, il libro venne inizialmente pubblicato da Einaudi in una collana di saggistica, suscitando un dibattito acceso anche in Parlamento
Lo scrittore torinese continuerà nel dopoguerra la sua attività di giornalista, in qualità di direttore del quotidiano romano Italia libera, partecipando a iniziative e inchieste politico-sociali sull'arretratezza del MEZZOGIORNO D'ITALIA, e per molti anni collaborerà con il quotidiano La Stampa di Torino.
Nessun commento