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'Il Corsivo' - Democrazia in crisi: diamo spazio ai becchini?

I becchini della democrazia. (foto) ndr.

di Adolfo Nicola Abate 

FOGGIA, 18 NOV. - Stiamo assistendo al degrado totale della coscienza civica, al seppellimento del rapporto civile tra istituzioni e cittadini, alla morte del dialogo tra le persone. Chi sono i becchini della nostra democrazia in crisi? La domanda mi è venuta dalla lettura di uno splendido articolo di Michele Salvati sul supplemento del Corriere della sera di domenica scorsa dal titolo “La democrazia è in crisi. Niente di nuovo”. Salvati, studioso di grande valore, cita una famosa battuta di Winston Churchill sulla democrazia: “Il peggior sistema di governo… ad eccezione di tutti gli altri” per sostenere che la qualità della democrazia può essere mantenuta a livello accettabile solo attraverso un continuo, faticoso processo di manutenzione riformistica. Se è vero, come dimostra la storia, che la democrazia non riuscirà mai a mantenere in modo completo le sue promesse di eguaglianza e di buon governo, si tratta di adeguare il sistema democratico ai mutamenti strutturali (sociali, economici, antropologici) che mano a mano avanzano nella storia dell’occidente, cioè dei paesi economicamente avanzati. E si parla oggi di democrazia sfigurata, di post-democrazia, di democrazia del pubblico televisivo, di leaderismo democratico pericoloso, con l’occhio che guarda indietro, ai partiti di massa ed alle loro ideologie. Dunque, siamo allo stato dei “lavori in corso” per adeguare la nostra democrazia, quella italiana, ai cambiamenti avvenuti troppo velocemente. E torno alla domanda: chi lavora contro? Chi sono i becchini della democrazia? Vedete tutti che è crescente la distanza (opposizione?) tra cittadini e istituzioni, grazie alla pochezza dei partiti ed alla incapacità della classe politica (che ci siamo scelti, votando o non votando). Così come va salendo pericolosamente l’onda della caccia a chi le istituzioni rappresenta: sindaci, deputati, grand commis di stato, forze dell’ordine, magistrati, governanti, per ciò che avrebbero dovuto fare e non hanno fatto. Se si aggiunge che fra le esaltate nuove forme di partecipazione c’è internet con i social media e che, nelle periferie esistenziali come in quelle culturali e politiche, c’è sempre chi di professione mesta nel torbido, avrete il quadro di ciò che sta avvenendo. Come se non si conoscesse da decenni la situazione delle periferie urbane, di grandi e piccole città; come se non si sapesse da decenni dei movimenti migratori che portano carrettate di disperati sulle nostre coste; come se non si sapesse che la solidarietà non va spacciata come la droga ma incarnata in atti e fatti concreti, senza ghetti e xenofobie. Perché ora scoppia la situazione? Perché chi ha sopportato in egoistico silenzio queste situazioni ora vede che è possibile cavalcare praterie finora riservate ai professionisti del sopruso, dalla criminalità organizzata fino ai ladri di stato, dai piccoli tangentisti del “tengo famiglia” ai grandi evasori economici (che portano i soldi nei paradisi fiscali) e politici (quelli che in nome del bene comune fanno i fattacci propri). E allora che facciamo? Mille comitatini per chiedere qualcosa? Mille marce e marcette per manifestare contro qualcuno? Mille scioperi “sociali”, nuova invenzione dei disperati senza lavoro e dei centri sociali? Mille picchetti davanti a qualche ministero, municipio, prefettura? Mille scritte a spray, mille bombe carta (e qualcuna vera), mille insulti televisivi e non? C’è bisogno di più ascolto, lo dicono tutti: i rappresentanti dei partiti, i sindaci, i presidenti di Regione, i ministri, i sindacalisti, i pupazzi dei talk show, i preti e i boy scout, i disoccupati e i manager economici. Siamo d’accordo. Ma come si fa ad ascoltare se stiamo tutti col mitra in mano e ognuno vuole essere ascoltato senza ascoltare l’altro? Chi sono, allora, i becchini della democrazia? Quelli che sparano per primi, non con le armi convenzionali ma con le nuove armi della tecnologia che usano vecchie pallottole: le parole che si organizzano e diventano massa, micidiale arma di distruzione delle coscienze. E della verità. Mi auguro di sbagliare e di vedere invece ripristinata la civile convivenza democratica, che ascolta l’altro, che si confronta vincendo e perdendo, e che si rimbocca le maniche per lavorare insieme. Per salvare la democrazia riformandola, giorno per giorno. Solo allora potremo parlare di “orgoglio italiano”.





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