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Teatro. Tutto quel che non si dice: SILENZI DI LOQUACE FEMMINILITA' al Teatro BRAVO' di Bari, con CHIARA ZERLINI

Una immagine dello spettacolo. (foto) ndr.

di Romolo Ricapito

BARI, 12 DIC. - In scena al Teatro Bravò di Bari per la rassegna Bravoff , "Silenzi di Loquace Femminilità" (Tutto Quel Che Non Si Dice) da Wesker, De Filippo, Ruccello, Drammaturgia di Chiara Zerlini e Maurizio Pellegrini, Scene e Costumi di Romeo Liccardo, Regia di Maurizio Pellegrini, in scena la sola Chiara Zerlini, a cura di Epos Teatro. 

Il palco mostra il disordine di una camera tipicamente al femminile: per terra scarpe, un paio di slip rossi, una chitarra, una sedia coperta di indumenti, per terra un telefono fisso, una scrivania con libri, una trousse trasparente con spazzola e trucchi. Spunta una donna in lingerie (sottoveste nera) con calze e reggicalze scuri, interpretata da Chiara Zerlini. La donna si produce in uno spietato auto-esame comprendente il suo volto privo di trucco . Ella si dichiara "laureata in francese a pieni voti ", in conflitto con la madre e impegnata nella cerimonia della vestizione, tipica delle rappresentanti femminili di ogni età. I suoi sono racconti di relazioni con gli uomini. 

C'è la Settentrionale, in conflitto con ipotetici partner del Meridione, ma ancora di più con se stessa. "Sono stanca di aspettare, non vorrei restare zitella". La paura della solitudine è una costante della psicologia femminile, nonostante l'apparente sfrontatezza della giovane età. Gli uomini sono "pesci da aspettare", ma preferibilmente da pescare, in un'elegante simbologia fallica. C'è una preghiera a San'Antonio, cantata. Per rimediare qualcuno, è utile ricorrere alla religione, perché no? Poi la protagonista legge in francese Offenbach e impersona Lucia Petrella, una maestra elementare. Si parla di un figlio bastardo occultato all'anagrafe e cresciuto in una famiglia numerosa. 

Sono reminiscenze di un passato atavico ma ancora presente nella memoria collettiva, quando la famiglia patriarcale copriva irregolarità, abusi e crimini. I monologhi acquistano via via l'aspetto della sofferenza, precipitando dall'ironia alla malinconia: "addio, mio unico amore"! Vengono acquisite nel testo alcune note e giudizi sull'amore, valide per tutti. Infine c'è la donna che critica aspramente il suo uomo, in tutto e per tutto. Le accuse spaziano fino all'attribuzione di difetti trascurabili o infinitesimali: "non gli piace Barbara Streisand". Ma l'accusatrice smentisce se stessa con l'ansiosa attesa del compagno tanto odiato. 

Trattasi in definitiva di show tanto breve quanto fluviale per l'infinita gamma di argomenti affrontati dalla loquace protagonista e adattatrice dei testi, che si sdoppia in tante facce rappresentative della femminilità attuale, ma soprattutto del passato. Quell'aspetto arcaico che ha portato la donna, da sempre supìna all'uomo, gradatamente a forme di emancipazione ottenute anche con l'utilizzo di una spietata auto analisi , aspetto tipico della femminilità, rispetto alla mascolinità, refrattaria quest'ultima a esplorarsi interiormente.







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