Italicum: scontro Renzi - Pd, "no a partiti ombra"
Il Premier Matteo Renzi. (foto Agi) ndr. |
di Redazione
ROMA, 19 GEN. (AGI) - Ancora 48 ore per provare a mettere d'accordo le due anime del Pd, quella rappresentata dalla maggioranza renziana e quella della minoranza che si oppone all'Italicum. Poi si chiudera', con la sinistra dem o senza di essa. Parola del presidente del Consiglio.
Le parti si sono incontrate oggi alla presenza del presidente del Consiglio nella Sala Koch di Palazzo Madama. Matteo Renzi ha messo in chiaro che un passo indietro rispetto al testo approvato in commissione e' da escludere e che le riserve della sinistra dem sono "ingenerose": la legge elettorale, infatti, e' quanto di piu' simile al sistema del Sindaco d'Italia - quello che regola l'elezione dei primi cittadini e dei consigli comunali - si possa produrre. Una promessa mantenuta, per il premier, che fin dalle primarie vinte contro Bersani ha fatto del Sindaco d'Italia una bandiera.
Tutto cio' non e' servito, al momento, a riportare sui binari del dialogo il rapporto tra maggioranza e opposizione Pd, ulteriormente logorato nelle ultime ore dalle dimissioni di Sergio Cofferati dal partito. "Renzi e' in difficolta', non e' sicuro di avere i numeri e alza la posta con un ultimatum", e' l'interpretazione che si da', da sinistra, all'atteggiamento del premier. E anche cio' che filtra dalla maggioranza di piu' stretta fede renziana in cui si parla, senza troppi giri di parole, di un tentativo di "golpe" da parte della sinistra del partito.
Si arriva ad accusare apertamente Pierluigi Bersani, puntando il dito verso colui che ne e' considerato "l'ideologo" ovvero quel Miguel Gotor apostrofato oggi da Renzi al senato come "il mio miglior nemico". Una manovra, insistono i renziani, che non ha nulla a che vedere con la legge elettorale, ma e' funzionale a mettere in minoranza Renzi nel partito. Difficile che tutto cio' si possa realizzare. Renzi rischia si' di vedere l'Italicum impallinato da una trentina dei suoi, ma questo non sarebbe sufficiente ai bersaniani per 'riprendersi il partito'.
Il 'piano B' dei vertici del Nazareno prevede il ricorso a una maggioranza alternativa per il varo dell'Italicum. Oltre alla maggioranza Pd, ne farebbe parte Ncd (che ha visto accolte le sue richieste di prevedere il premio alla lista e non alla coalizione e di abbassare la soglia di sbarramento), Forza Italia, ma anche un pezzo di Movimento Cinque Stelle. In questa logica andrebbe letto il pressing messo in atto da Deborah Serracchiani sui Cinque Stelle: in una lettera la vicesegretaria Pd si e' rivolta a Luigi Di Maio, Danilo Toninelli e ai capigruppo pentastellati sottolineando che l'Italicum ha recepito la loro richiesta di prevedere il premio alla lista in luogo di quello alla coalizione e che, se vogliono, il dialogo puo' proseguire per varare insieme la riforma elettorale. Speranze che, stando almeno a quanto trapela da fonti parlamentari del M5S, sono destinate a restare tali: i grillini, infatti, mostrano tutta l'offerta al mittente. Offerta alla quale, tra l'altro, non credono affatto.
Intanto, domani al Senato, si comincia a fare sul serio.
Contatti telefonici e riunioni si susseguono tra i vari esponenti della minoranza dem a Palazzo Madama, ma non solo. Il timore e' quello di trovare nella "carica dei 40mila", come viene definito il faldone contenente gli emendamenti, anche qualche "premissivo": si tratta di un emendamento in grado di fare decadere uno o piu' degli altri emendamenti e che, a tal fine, viene posto "in premessa" agli altri.
Un sospetto alimentato anche dal fatto che in serata, il faldone non era stato ancora distribuito ai senatori. Una frase di Renzi ha colpito oggi chi, nella riunione del gruppo Pd, porta avanti la battaglia per modificare la norma sui capolista bloccati. La riferisce in conferenza stampa Miguel Gotor: "ci sono strumenti emendativi e procedure parlamentari che consentono di approvare la legge in 48 ore. Al netto di trucchi e trucchetti", ha proseguito nella citazione, "ci aspettiamo un confronto".
Sono tre i punti fondamentali per i firmatari dell'emendamento Gotor: oltre ai capolista nominati, le pluricandidature e la clausola di salvaguardia, per come e' scritta. Tocchera' al senatore Paolo Corsini illustrarli domani, nella nuova riunione di gruppo. La legge elettorale, spiega Corsini, "pur essendo legge ordinaria evoca temi di natura costituzionale e nel regolamento del Pd si riconferma la lettera dell'articolo 67 della Costituzione e si garantisce la liberta' di espressione del singolo parlamentare". Gli fa eco Miguel Gotor: "Prima che una disciplina di gruppo e di partito ciascuno di noi ricorda l'articolo 67 della Costituzione, il fatto che i parlamentari rappresentano la nazione, e che esercitano la loro funzione senza vincolo di mandato". Resta da vedere se ad appellarsi all'articolo 67 saranno tutti e trenta i sottoscrittori dell'emendamento Gotor. Per i renziani, alla prova dei fatti, i 'disobbedienti' non saranno piu' di una quindicina.
La stessa minoranza non crede di arrivare al voto finale compatta: "Molti di noi voteranno l'emendamento", riferiscono: "Gli stessi che sono pronti ad andare fino in fondo, anche scegliendo di non votare il provvedimento in Aula". In serata, a conferma che i numeri della minoranza sulla legge elettorale sono tutt'altro che definitivi, arriva la nota con cui quattro senatori - Bruno Astorre, Vincenzo Cuomo, Carlo Lucherini e Maria Spilabotte - ritirano la loro firma dall'emendamento Gotor. La ragione e' che l'emendamento stesso non mira piu' a riscrivere il passaggio sui capi lista bloccati, ma modificare l'intero impianto della legge elettorale.
Al fondo della questione, c'e' anche la ragione 'politica' dell'abbraccio stretto ormai da mesi tra Pd e Silvio Berlusconi e che, per Gotor, vede i democratici esposti a veti continui da parte di Forza Italia: "Berlusconi ha posto gia' un veto molto pesante sui collegi uninominali medio piccoli. E ancora: Berlusconi vuole tutti i parlamentari bloccati, perche' arrivando secondo o terzo avra' esclusivamente eletti dall'alto. Ma questa non e' una trattativa e' una svendita", chiosa il senatore.
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