CdV. XXIII Giornata Mondiale del Malato, la sapienza a supporto per il malato
FOGGIA, 11 FEB. - Suona strano utilizzare una parola così impegnativa, la sapienza. In ambito filosofico per Aristotele assume significato metafisico, in quello religioso è un attributo di Dio, che si manifesta nella creazione e nel governo dell’universo, che ha la capacità di comprendere realtà soprannaturali. Un dono ricevuto e non sviluppato come lo è l’intelligenza. Chi ha sapienza è sapiente, che nell’ordinario significato etimologico della nostra lingua è “Detto di persona, che è ricco di sapienza, che ha molte e profonde cognizioni, acquisite non soltanto con lo studio, ma anche attraverso l’esperienza, la meditazione, la riflessione” (fonte: vocabolario Treccani). Contestualmente è arduo parlarne in un ambito dove la frenesia è all’apice delle nostre azioni, dove il tempo odierno è inversamente proporzionale alle scelte che facciamo. Si fa tutto in fretta. Mentre si scrive, invece di pensare, si guarda il messaggio sul cellulare, o si mangia un panino, o si guarda la tv. Le nostra azioni necessitano di riflessioni, di cognizione di causa, di analisi profonde volte a ciò che possono generare.
Assistere un malato, oggigiorno ha la stessa matrice azionale di quello che facciamo, contrariamente a quello che dovremmo fare con razionalità . È superfluo affermare che il malato va assistito in tutto: nelle azioni, nelle diagnosi, nelle cure, nella degenza, nella compagnia. Un’assistenza che non tutti corrispondono nel dovuto modo, con la dovuta professionalità e soprattutto dovuta dedizione.
Proprio sulla dedizione si gioca un’importante carta. Un valore che negli anni ha è stato surrogato da quello di un’assistenza sistematica e retribuita, sinonimo di atto dovuto a fronte di un compenso materiale. I tempi che viviamo, purtroppo, sono sempre più tiranni. Un’arpia che ci tiene per il collo e che pretende dazio a piacimento.
Accudire un malato non è facile. Ci vuole pazienza, perseveranza, professionalità e sapienza. Ascoltarlo è un obbligo che chi si accinge a tal ormai ardua impresa deve mettere in pratica. E’ chiesta a tutti, a medici, infermieri, ausiliari e soprattutto ai volontari e ai familiari del malato.
Papa Francesco, in occasione della XXIII Giornata Mondiale del Malato parla di sapienza. Lo fa con passo di Giobbe: «Sapientia cordis. «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Gb 29,15). Sapienza come sostegno al malato, come supporto al dolore, anche non fisico.
Per l’occasione pubblichiamo seguito il testo integrale il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Malato, che sarà celebrata oggi 11 febbraio 2015
«Cari fratelli e sorelle, in occasione della XXIII Giornata Mondiale del Malato, istituita da san Giovanni Paolo II, mi rivolgo a tutti voi che portate il peso della malattia e siete in diversi modi uniti alla carne di Cristo sofferente; come pure a voi, professionisti e volontari nell’ambito sanitario. Il tema di quest’anno ci invita a meditare un’espressione del Libro di Giobbe: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (29,15). Vorrei farlo nella prospettiva della “sapientia cordis”, la sapienza del cuore.
1. Questa sapienza non è una conoscenza teorica, astratta, frutto di ragionamenti. Essa piuttosto, come la descrive san Giacomo nella sua Lettera, è «pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (3,17). È dunque un atteggiamento infuso dallo Spirito Santo nella mente e nel cuore di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio. Facciamo nostra, pertanto, l’invocazione del Salmo: «Insegnaci a contare i nostri giorni / e acquisteremo un cuore saggio» (Sal 90,12). In questa sapientia cordis, che è dono di Dio, possiamo riassumere i frutti della Giornata Mondiale del Malato.
2. Sapienza del cuore è servire il fratello. Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest’uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città . La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell’orfano e della vedova (vv.12-13). Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere “occhi per il cieco” e “piedi per lo zoppo”! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa.
3. Sapienza del cuore è stare con il fratello. Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo. È lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio, il quale «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Gesù stesso ha detto: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Chiediamo con viva fede allo Spirito Santo che ci doni la grazia di comprendere il valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla “qualità della vita”, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!
4. Sapienza del cuore è uscire da sé verso il fratello. Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità , del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo, dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40). Per questo, vorrei ricordare ancora una volta «l’assoluta priorità dell’“uscita da sé verso il fratello” come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 179). Dalla stessa natura missionaria della Chiesa sgorgano «la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove» (ibid.).
5. Sapienza del cuore è essere solidali col fratello senza giudicarlo. La carità ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare accanto a loro come fecero gli amici di Giobbe: «Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore» (Gb 2,13). Ma gli amici di Giobbe nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui: pensavano che la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa. Invece la vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto. L’esperienza di Giobbe trova la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede (cfr Omelia per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014). Anche quando la malattia, la solitudine e l’inabilità hanno il sopravvento sulla nostra vita di donazione, l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la sapientia cordis. Si comprende perciò come Giobbe, alla fine della sua esperienza, rivolgendosi a Dio possa affermare: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (42,5). Anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo.
6. Affido questa Giornata Mondiale del Malato alla protezione materna di Maria, che ha accolto nel grembo e generato la Sapienza incarnata, Gesù Cristo, nostro Signore. O Maria, Sede della Sapienza, intercedi quale nostra Madre per tutti i malati e per coloro che se ne prendono cura. Fa’ che, nel servizio al prossimo sofferente e attraverso la stessa esperienza del dolore, possiamo accogliere e far crescere in noi la vera sapienza del cuore. Accompagno questa supplica per tutti voi con la mia Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 3 dicembre 2014, Memoria di San Francesco Saverio».
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