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Attualità. Reinventarsi un lavoro. Il riscatto di un montanaro

Matteo Renzulli e sua moglie, la signora Anna Mangini (foto) ndr.
di Nico Baratta - Redazione di Foggia

MONTE SANT'ANGELO (FG), 19 AGO. - La storia è una come altre, forse di tante altre persone. Ma il contesto è diverso, perché in questa storia si parla di un uomo del sud, che abita in cima a una montagna, in un luogo dove il lavoro fugge per mete fiscalmente più appetibili e che non ritorna più.
Potrebbe sembrarvi un sermone pubblicitario giacché nominerò nomi e aziende. Non sarà così. Se lo faccio è per raccontarvi in toto cosa è stato capace di fare Matteo Renzulli e sua moglie, la signora Anna Mangini.

Matteo lavorava alla IBF S.p.A., con sede in Contrada Macchia (Monte Sant’Angelo), un’azienda produttrice, come molti sanno, di accumulatori per trazione e stazionari, batterie e pile. L’IBF, è doveroso dirlo, fu una delle prime sette aziende a sottoscrivere il Contratto d’Area di Manfredonia-Monte Sant’Angelo e Mattinata. Una manna dal cielo per molti conterranei che cercavano lavoro, che volevano rimanere in Capitanata, che poi avrebbero, come hanno fatto e come si dice da queste parti, “messo su famiglia” con mutuo al seguito. Nel  2014 arriva la stangata, presagita da riduzione di produzione, blocchi temporanei e dalla sottoscrizione, nel marzo del 2013, da parte dell’azienda e dei sindacati di categoria della famigerata CIGS, quella tanto odiata e risolutrice Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria. Poi, con sentenza n°20 del 24.04.2014, il Tribunale di Fermo dichiarò il fallimento della I.B.F. Spa, di Macchia, passandola in liquidazione. Le vicende della IBF son note, come è noto il suo passaggio proprietario con il nuovo nome FIB S.r.l., e perciò ragione sociale e con rappresentanti della IBF S.p.A., del gruppo FAAM, ancora presenti in azienda. Con loro, però, non sono stati mantenuti i posti di lavoro della ex IBF. Tra questi, come detto c’era Matteo, dapprima in cigs, poi in mobilità e poi definitivamente a casa, licenziato.

Che fare? Il lavoro era prioritario; aveva una famiglia da mantenere, mutuo e bollette da pagare e bocche da sfamare. Il lavoro glielo negavano tutti e in piazza c’era solo quello sottobanco, quello in nero. Meglio di niente, avrebbe detto qualcuno. Ma Matteo sapeva che il “sottobanco, quello in nero” non era garanzia per il futuro, solo un fuoco di paglia. Ed ecco che l’orgoglio –mi permetto di dire- cocciuto del vero montanaro, esce fuori. Matteo si reinventa il lavoro, o meglio, ne impara un altro. Si reca a Foggia e sotto la supervisione del mastro pizzaiolo Massimo Marasco, impara a fare il piazzaiolo. 
Imparato a far pizze, calzoni, panini farciti, panzerotti, arancini e tutto ciò che una pizzeria offre, decide di aprire un’attività propria a Monte Sant’Angelo. La sua famiglia e quella della moglie lo aiutano. E così che apre “Giripizza”, in Via Manfredi a Monte Sant’Angelo. 

Il resto è storia di ogni giorno, fatta di fatica dalle prime ore dell’alba fino a notte inoltrata, a impastare, infornare, cuocere, gestire l’attività, comprare dai fornitori e servire i clienti.

Una bella storia, come detto e come altre, forse di tante altre persone, ma in un contesto difficile che non permette sbagli e non concede seconde chance. E vi chiedo scusa se ho citato la pizzeria; non è per pubblicità, anche se ne vale pena, bensì per far comprendere che quando si vuole lavorare, si può, anche laddove il lavoro ti ha abbandonato, semmai reinventandovi un lavoro. 

Questo per me è il riscatto di un montanaro, per me anche d.o.c.




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