Estero. La scure di Erdogan sui rettori, e il Sultano rimane a Istanbul
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Il Presidente Erdogan. (foto Agi) ndr. |
di Redazione
ISTANBUL (TUR), 20 LUG. (AGI) - Dopo il fallito golpe di venerdì, la scure di Recep Tayyp Erdogan si abbatte anche sul sistema dell'istruzione: le autorita' turche hanno sollecitato le dimissioni dei rettori di tutte le Universita' del Paese, tanto pubbliche come private, per un totale di 1.577 atenei. Sono inoltre stati sospesi con effetto immediato oltre 15.200 tra impiegati e funzionari del ministero della Pubblica Istruzione, e a loro carico e' stata aperta un'inchiesta perchè sospettati di essere legati al Feto, come e' chiamato ufficialmente il movimento islamista, definito una mera organizzazione terroristica, facente capo al predicatore Fethullah Gulen, ex alleato e ora nemico numero uno di Erdogan, che lo accusa di essere dietro il tentato golpe. I dipendenti pubblici appena epurati vanno ad aggiungersi ai quasi 8.800 del ministero dell'Interno e ai piu' di 2.500 di altri dicasteri, nei cui confronti erano gia' stati adottati provvedimenti analoghi.
Nelle stesse ore il governo turco ha inviato a Washington quattro dossier per chiedere l'estradizione di Gulen. Il potente imam esule in Pennsylvania da vent'anni viene indicato come il vero regista del golpe fallito. Il premier Binali Yildirim ha spiegato che, secondo il suo governo, Gulen avrebbe cominciato "sin dagli anni Ottanta a infiltrare i gangli dell'esercito". Il segretario di Stato Usa John Kerry ne discuterà con il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu a margine del vertice internazionale per la lotta all'Isis,in programma mercoledì e giovedì a Washington.
Intanto proseguono le epurazioni anche dai gangli dell'esercito, dell'amministrazione e della magistratura, compresi un centinaio di uomini dell'intelligence (non operativi) sospesi dal servizio. È salito a 9.322 il numero delle persone arrestate per legami con il golpe. Sospesi dall'incarico anche novemila dipendenti del ministero dell'Interno, ma anche circa tremila fra giudici e procuratori. In manette è finito anche un secondo consigliere militare di Erdogan, arrestato in un hotel a pochi chilometri da Antalya in cui aveva preso alloggio fornendo generalità false.
Ad accendere le polemiche interne in Turchia c'è anche il fatto che dal fallito colpo di stato militare del 15 luglio, Erdogan non è più ritornato ad Ankara: continua invece a trattenersi a Istanbul che, nelle ore in cui le sorti della Turchia erano ancora in bilico, raggiunse direttamente in aereo dalle vacanze estive che stava trascorrendo nei paraggi di Marmaris, sulla costa sud-occidentale dell'Anatolia. La prolungata assenza del presidente dalla capitale sta attirando su Erdogan diverse critiche dall'opinione pubblica turca, anche in quei settori a lui fedeli, e infatti sui social network è tutto un fiorire di lamentele, alimentate anche dalla storica rivalità tra le due città , le cui rispettive fortune si capovolsero all'epoca in cui andò al potere Kemal Ataturk, e che mai si sono amate.
"Il signor presidente segue l'evolversi degli eventi dal suo domicilio di Istanbul", è stata la laconica spiegazione fornita da fonti governative riservate. "E' là che passa la maggior parte dei fine settimana, e non ha ritenuto necessario rientrare ad Ankara in quanto già vi si trovano il primo ministro (Binali Yildirim; ndr) e gli altri membri dell'esecutivo. La situazione è sotto controllo ma", hanno concluso le fonti anonime, "chiediamo al popolo di restare in allerta fino a quando non saranno stati rintracciati tutti i complici dei rivoltosi".
L'agenda ufficiale in realtà prevede la ricomparsa del presidente turco nella capitale già domani, quando dovrebbe presenziare a una riunione del Consiglio Nazionale di Sicurezza, al termine della quale si afferma che dovrebbe essere annunciata una non meglio specificata "decisione di grande importanza". Nativo di Istanbul, Erdogan è stato per quattro anni sindaco della città sul Bosforo, dal 1994 al '98.
L'Onu, intanto, ha avvertito Ankara che "la reintroduzione della pena di morte: sarebbe una violazione degli obblighi della Turchia previsti dal diritto internazionale dei diritti umani, un grande passo nella direzione sbagliata", come ha spiegato l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad Al Hussein.
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