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Cronaca. Il “poliziotto” Alfredo Fabbrocini su RaiTre racconta l’indagine “Romanzo Criminale” [VIDEO]

Il "poliziotto" dott. Alfredo Fabbrocini durante la trasmissione su Rai Tre (foto Nico Baratta) ndr.
di Nico Baratta
 
FOGGIA, 18 FEB. - Sabato sera, 17 febbraio 2018, in seconda serata su Rai Tre è andato in onda un pezzo della nostra storia, della nostra provincia di Foggia. Uno spaccato di un vissuto importante che purtroppo, attraverso i media, rimbalza quotidianamente nelle nostre case e che diventa attuale poiché ciò che si è raccontato è diventata quell’ordinarietà che vorremmo abolire. Nella trasmissione “Commissari, sulle tracce del male”, condotta dal giornalista Pino Rinaldi, si è aperto alle telecamere lui, il poliziotto, il nostro poliziotto, il già Vice Questore della Questura di Foggia, il dott. Alfredo Fabbrocini nonché capo della locale Squadra Mobile. Un uomo mai dimenticato, un investigatore dal fiuto fine e dalle tecniche originali ma efficaci, rimpianto per la sua umanità, per la sua indole a difendere il debole educando noi cittadini alla legalità e giustizia, quel poliziotto che ha cercato, ed in parte ci è riuscito, a riportare sicurezza in un territorio martoriato dalla criminalità organizzata e mafia. Nella trasmissione Fabbrocini ha raccontato l’indagine “Romanzo Criminale” che nell’estate dell’anno 2012 insanguinò Manfredonia. Oggi Fabbrocini è al comando della II Divisione della Direzione Centrale Anticrimine dello SCO -Servizio Centrale Operativo- e nella trasmissione televisiva con parole semplici e con fatti concreti ha raccontato la criminalità organizzata di Foggia e della sua provincia, in primis quella del Gargano. Una mafia, la “società” foggiana, quella quarta mafia che finalmente lo Stato Italiano, la magistratura inquirente, ha riconosciuto tale che per troppo tempo era stata sottovalutata. Fabbrocini, per ricordarlo ed è importante, catturò nel maggio del 2011 il noto boss della faida garganica (il clan dei montanari) Giuseppe Pacilli, meglio conosciuto come “Peppe u' Montanar”, latitante da ben tre anni. La missione che Fabbrocini ebbe nel mandato in Capitanata.

Tuttavia c’è da fare una premessa, più che altro per ridisegnare il quadro inquirente che la giustizia, con i suoi interventi, ha perfezionato con le indagini di Fabbrocini, poi trasferito dapprima a Cagliari poi a Roma. La faremo dopo il racconto della trasmissione andata in onda.
Il "poliziotto" dott. Alfredo Fabbrocini durante la trasmissione su Rai Tre (foto Nico Baratta) ndr.
Come detto siamo all’inizio dell’estate del 2012, dal quel 5 giugno quando a Manfredonia si consumò un duplice omicidio che da subito ebbe un quadro mafioso. A farne le spese sono due già noti alle FF.OO., Francesco Saverio Castriotta e Antonio Balsamo, uccisi per droga dopo mesi di indagini che Fabbrocini riuscì a metter insieme un puzzle complicato. Fin dall’inizio Alfredo Fabbrocini non operò con le solite indagini di rito poiché giunto sul luogo, Viale dei Pini a Siponto, ebbe contezza dei fatti che quel quadro criminale aveva un disegno mafioso. Difatti i due corpi ammazzati furono trovati parzialmente bruciati e i bossoli utilizzati per l’esecuzione spariti. Per Fabbrocini chi aveva operato in quel modo efferato sapeva cosa fare, perciò lo aveva già fatto. Ragion per cui le indagini dovevano esser condotte nell’ambito mafioso più che nel semplice ambito criminale. Trenta giorni dopo scompare il 20enne Cosimo Salvemini, insospettabile perché non recidivo e di buona reputazione. A Fabbrocini non torna qualcosa. A Manfredonia e dintorni domina quel silenzio di matrice mafiosa, nessuno ne parla, e questo per lui potrebbe essere il legame che unisce gli omicidi e sparizioni, quel modus operandi di particolari, dettagli e anomalie, della mafia garganica ma non verosimilmente per opera dei clan locali. I giorni passano e il 20enne Salvemini sembra scomparso nel nulla mentre il silenzio diventa assordante. Nel frattempo Manfredonia è ancora insanguinata. Durante una conferenza stampa tenuta nella Questura di Foggia, Fabbrocini riceve una telefonata. È un altro omicidio; Matteo Di Bari, 59 anni e mai riconducibile alla criminalità organizzata e mafiosa, viene ucciso. Gli inquirenti lo trovano a terra con il cranio fracassato, incaprettato e con due taniche di nafta vuote nei pressi del garage del ritrovamento. Un particolare che non sottovalutarono gli inquirenti e che poi divenne prova per future incriminazioni. Ed allora perché tutto questo sangue, con un‘efferatezza che ha dell’inspiegabile per il soggetto ucciso, si chiede Fabbrocini?. Lui, Alfredo, collaudato poliziotto tra e con la gente, maestro a carpire e ascoltare, si precipita nella folla e attraverso i pettegolezzi di paese, apprende che il Di Bari aveva un’amante, una donna spostata, pertanto il sospetto ricade sul coniuge della donna. Ma Fabbrocini non si ferma a tal probabile movente e indaga. Scopre che Francesco Giannella, 30enne e noto alle FF.OO., frequentava spesso Matteo Di Bari. Le indagini si concentrano sul Giannella, così da metter da parte la sola pista mafiosa ed anche perché era amico del cugino del Salvemini scomparso, Leonardo. Ad inchiodare Giannella sono le telecamere di sorveglianza di un locale che lo immortala. Da quel momento i due vengono messi sotto controllo con intercettazioni varie, scoprendo anche un terzo affiliato, Ilario Conoscitore. La Polizia così riesce a venir a capo dell’omicidio Di Bari, scoprendo anche che il Giannella deteneva armi e le utilizzava spesso, anche per passatempo. Insomma, pistole, odore di nafta nella sua auto, frequentazioni varie portano a lui per l’omicidio Bi Bari e del duplice omicidio di Viale dei Pini. Tuttavia Fabbrocini vuol venire a capo della scomparsa di Cosimo Salvemini, cugino dell’amico del Giannella. Indizio che il poliziotto non ha mai sottovalutato e sul quale ha puntato la sua indagine. Poteva arrestare i tre ma poi Fabbrocini non sarebbe riuscito a chiudere il cerchio e ricomporre quel puzzle criminale dallo stampo mafioso. E così con molta discrezione sta col fiato sul collo dei tre, in particolare sul Giannella, attenendo nuove azioni ed evitandone altre. Nelle intercettazioni e a convincere gli inquirenti che i tre erano una vera e propria banda di stampo mafioso è il continuo cantare di. “Tutta mia la città”, colonna sonora dell’Equipe 84, un loro modo di far capire a chi li conosce che sono affiliati e avrebbero puntato a prendersi Manfredonia. Ecco perché Fabbrocini come ha detto a RaiTre «l’operazione si chiama Romanzo Criminale». Giannella, insomma, era a capo di una banda di tre persone efferate, disposte a tutto, è quanto emerge dalle indagini. Inoltre, dall’ascolto delle conversazioni intercettate dalla Polizia, si apprende di una rapina in una gioielleria di Manfredonia e Fabbrocini, con agenti infiltrati tra la gente e nella gioielleria cercano di evitare. La rapina sfuma e il dispiego delle FF.OO. ritorna alla base. Ma Fabbrocini da lì a poco dalla Questura, in base ad un’intercettazione, riceve una telefonata che lo avverte che Giannella stava organizzando in modo imminente una rapina presso un distributore di carburanti appena fuori Manfredonia. Senza pensarci due volte Fabbrocini esce con tutta la sua Squadra Mobile e da Foggia si precipita nella città sipontina. Arriva per primo e un agente blocca chi dei tre stava alla guida (Conoscitore Ilario), mentre Giannella e Salvemini, dopo aver compiuto la rapina, escono dal distributore. Il dispiego imponente degli agenti di Polizia arresta i due rapinatori e poi li divide. Una tattica che Fabbrocini intuisce subito per dar corso all’interrogatorio durante il tragitto in Questura. Infatti la strategia del Vice Questore e Capo della Mobile di Foggia era quella di far leva sui due complici, anello debole della banda giacché il Giannella era ritenuto troppo freddo, spietato, esperto. In Questura e dopo molti interrogatori Leonardo Salvemini crolla. Fabbrocini gli ricorda del cugino scomparso e di Matteo Di Bari ucciso, perciò complice. E ciò avviene dopo che Alfredo Fabbrocini, avendo capito che era l’anello debole , lo bacia: «Leonardo, inizialmente reticente, cominciò a parlare dopo che lo baciai sulla fronte» ha detto Fabbrocini in trasmissione. Un Fabbrocini stratega, umano e nel contempo persuasivo per aver ricordato a Salvemini Leonardo la sua marginalità ai fatti accaduti. Un investigatore psicologo che ha saputo con tattica magistrale far rompere quella reticenza di Leonardo conducendolo a deporre e venir a capo della verità. Ma gli dice anche che se non avesse parlato avrebbe pagato come gli altri. Il caso è risolto, ma rimane una persona scomparsa e mai ritrovata e Fabbrocini vuol ritrovare Cosimo Salvemini. Così fa leva sulla ragazza del cugino del Salvemini scomparso, facendole credere che per amore lei doveva svelare cosa fosse accaduto. E lo fa. Cosimo Salvemini fu ritrovato il 10 dicembre del 2012, nei pressi dell’aeroporto militare di Amendola, a metà strada tra Manfredonia e Foggia sulla Statale 89 meglio conosciuta come Garganica. Di lui solo resti umani, portati lì dopo l’esecuzione, già decomposti che la Polizia Scientifica riuscì a dar un nome. Un ritrovamento mirato per le deposizioni ottenute dagli indagati, un omicidio del Francesco Giannella solo perché Cosimo Salvemini si era innamorato della sua ragazza, di quella del capo. Per Fabbrocini fu un’indagine durata molti mesi, dove il poliziotto, nella trasmissione, rimarca la solita frase che molte famiglie proferiscono quando si accusano i loro figli “non è possibile che mio figlio abbia fatto questo, che sia stato capace di uccidere, che..”. Un’amara realtà che a distanza di anni ha lasciato basito lo stesso Alfredo. Eppure è accaduto, con tanta efferatezza e sangue freddo, con un distacco dalla realtà che sembra irragionevole ma che ha la sua chiave di volta nella fame e sete di potere di comando assoluto. Del resto, se analizziamo i fatti anche nella quotidianità e piccoli atti violenti ,è ciò che accade oggi, finanche dal semplice ragazzetto che schiaffeggia un professore e poi…
[Il video della Questura di Foggia dell'Operazione Romanzo Criminale]

Premessa quella anticipata, che serve a comprendere lo scenario criminale e mafioso oggigiorno operante a Foggia e nella sua provincia, quel quadro inquirente che la giustizia, con i suoi interventi, ha perfezionato con le indagini di Fabbrocini.  

Il "poliziotto" dott. Alfredo Fabbrocini durante la trasmissione su Rai Tre (foto Nico Baratta) ndr.

Come ben descritto dalla DIA –Direzione Investigativa Antimafia- di Roma, nella “Relazione del Ministro dell’interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia” semestre gennaio – giugno 2018, in merito alla provincia di Foggia, “Il quadro criminale della provincia, articolato in diverse aree, si presenta complesso ed instabile, con dinamiche che risentono dell'operatività di una pluralità di sodalizi mafiosi”. Sodalizi già presenti quando Fabbrocini era operativo su Foggia e provincia, con consorterie locali che tutt’oggi sono in “affari” con le famigerate mafie italiane, quali ‘ndrangheta, cosa nostra, camorra, e straniere come quella albanese e la emergente “black axe", (ascia nera), una consorteria a struttura mafiosa e molto violenta, a forte componente mistico-religiosa, che pur non essendo radicata nel Mezzogiorno d’Italia sta prendendo piede stringendo patti con quelle italiane. Il tutto grazie ai notevoli sbarchi nel mar Mediterraneo, con provenienza prevalentemente dalla Libia, di componenti molto determinati e dall’efferata esecuzione criminosa scelti da specifiche tribù africane. Associazioni mafiose che oggi sono in fibrillazione per accaparrarsi l’egemonia. E Foggia né è un esempio dove la contrapposizione tra le batterie mafiose costituite dalle storiche famiglie Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino-Lanza, sta producendo morti ammazzati, racket, prostituzione, spaccio di droga e armi. Un’egemonia che ad oggi vedrebbe la consorteria Moretti-Pellegrino-Lanza favorite dall’appoggio delle famiglie Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese. Stesso quadro ma più articolato, per la peculiarità geomorfologica del territorio e dei clan storici che da decenni hanno comandato, è quello del Gargano dove il “clan dei montanari”, ha mutato pelle e vertici, pur sempre a tutt’oggi subordinata alla “società” foggiana. Rimangono sempre il braccio forte e operativo sul piano esecutivo, con prevalenza operativa nelle aree costiere di Manfredonia, Mattinata, Vieste e Peschici, e poi nell’entroterra di Apricena, San Nicandro e Rignano Garganico, Monte Sant’Angelo e zona Macchia, San Marco in Lamis, ma il garganici sono in guerra tra loro. Le mattanze del duplice omicidio ad Apricena (20 giugno 2017) e poi quella del quadruplo omicidio avvenuto nelle campagne tra San Marco in Lamis e Apricena (9 agosto 2017), dove rimase ucciso il boss garganico Mario Luciano Romito, e dove lo Stato ha risposto con l’urgente dispiego di Forze di Polizia speciali, quali Squadrone eliportato Carabinieri Cacciatori "Calabria” e “Sardegna”, reparti del ROS, dei Baschi Verdi, dello SCO e dell’Intelligence con l’ausilio di droni e satelliti, hanno determinato l’instabilità criminogena, quella che Fabbrocini stava combattendo con indagini mirate e azioni e arresti importanti. Ovviamente non è una critica verso chi al tempo ha deciso che il “nostro Capo della Mobile” dovesse essere trasferito, ma se fosse continuata la sua azione forse oggi le Patrie Galere avrebbero ospitato chi sta ammazzando, chi sta rimodulando sodalizi con consorterie che terrorizzano Foggia, la sua provincia con prevalenza nell’Alto Tavoliere (San Severo e Torremaggiore) e il Gargano.

Qui la puntata integrale andata in onda su Rai Tre.
https://www.raiplay.it/video/2018/02/Commissari---Sulle-tracce-del-Male-83047ea3-1f89-4a30-bb28-31943c2e5d01.html


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