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Il Progetto lavorativo riabilità la città. Accade a Monte Sant'Angelo

Ass. di Familiari dei Disagiati Psichici Sergio Piro (foto in allegato) ndr.
di Redazione

MONTE SANT'ANGELO (FG), 22 OTT. - a cura di Donata dei Nobili.
E' stato approvato dal comune di Monte Sant'Angelo il progetto d'inserimento lavorativo per persone con disagio psichiatrico, promosso dal Centro Diurno “Genoveffa De Troia” e dall'Associazione di Familiari dei Disagiati Psichici “Sergio Piro”, in collaborazione con il Centro di Salute Mentale di Manfredonia.
Lo dice con tanto entusiasmo Giuseppe Armillotta, vice presidente dell'associazione "Sergio Piro".
"Abbiamo lottato, -dice Giuseppe- contro le ombre istituzionali.  Più volte, abbiamo voluto rinunciare al progetto lavorativo, ma per noi era ed è una battaglia civile per la difesa della nostra dignità. Abbiamo navigato contro corrente, liberandoci dalle volontà di tanti che ci vogliono silenziosi e incatenati negli ospedali. Quello che abbiamo ottenuto è poco, ma è l'inizio di un cambiamento possibile. Mi auguro che il progetto lavorativo vada oltre i sessanta giorni e si rinnovi alla scadenza, altrimenti resterà una presa in giro."
Tanto accade a Monte Sant'Angelo con i familiari, le persone e gli operatori del Dipartimento di Salute Mentale di Foggia, che credono di rendere "normale" la cura psichiatrica, costruendo luoghi di benessere relazionale e politiche innovative per la salute mentale.
Dopo i difficili anni degli ospedali psichiatrici, le politiche dell'Asl di Foggia hanno intrapreso un nuovo percorso di ricerca ed attenzione alla salute dei cittadini che abitano il territorio, dotandolo di servizi territoriali e domiciliari centrati sulla persona. 
Il Centro Diurno “Genoveffa De Troia” è uno dei servizi territoriali orientato alla guarigione sociale e aperto al territorio. Le sue prassi riabilitative vengono pianificate per costruire un'identità comunitaria, includente il disagio ed ogni manifestazione di diversità, nel segno  di un servizio alla persona efficace, condiviso e partecipato. 

Volontari del Centro Diurno di Monte Sant'Angelo (foto in allegato) ndr.
 Per l’equipe curante, le risorse del territorio, da quelle istituzionali a quelle sociali, devono essere attivate per abilitare l'ospite psichiatrico alla cittadinanza.
Gli operatori di Monte Sant'Angelo con l'ascolto, e questo modo di pianificare gli interventi riabilitativi, contrastano i sintomi della clinica individuale del paziente, attraversando il chiuso dei luoghi di cura e i territori sempre più complessi e  irti di contraddizioni esistenziali, familiari,  sociali ed economiche.
L'orientamento multidimensionale degli operatori e dei tanti volontari e familiari fa di questa pratica riabilitativa il cardine dell' intervento, ragionato e sperimentato, per contenere la cronicità psicotica.
Per queste ragioni, l’obiettivo generale del progetto d'inserimento lavorativo è promuovere l'integrazione lavorativa di persone con disturbo psichico, attivando interventi finalizzati ad integrare le risorse del territorio, in modo da far crescere la cultura della riabilitazione e del lavoro fuori dalle mura dei luoghi di cura, nell'ambiente di vita.
Sono queste le loro buone pratiche che rafforzano le abilità socio-relazionali di quanti cedono il passo alla solitudine esistenziale e alle paure ancestrali umane.
Con il lavoro e con la tutela di tutti i diritti dei “lavoratori”, si cerca, quindi, di rafforzare l'autostima e l'autonomia, riattivando e potenziando le abilità, aggredite dalla malattia mentale, dei soggetti coinvolti nel progetto di reinserimento socio-lavorativo.
In questo modo, gli ospiti, gli operatori, i familiari e i volontari si aprono al territorio, utilizzando tutte le risorse della comunità per permettere un vero rinserimento sociale, attraverso un'attiva partecipazione alla vita socio-lavorativa, occasione d'incontro, svago, e rimozione degli ostacoli, valdi argini alla deriva della disabilità.
Se la Città che cura è quella che si prende cura, non manca chi alla salute mentale pone barriere.
Non sono pochi gli ostacoli posti ai tanti sofferenti psichici, che bisogna superare quasi ogni mattina. Tra i tanti, uno resiste e si ingozza di pregiudizi: lo stigma istituzionale.
Nelle istituzioni, ormai, riemerge l’antica cultura custodialista, in modo da far prevalere la ragione neomanicomiale, il desiderio di aggredire la persona malata, che resta un cittadino fragile, spogliato dei deboli diritti umani, fino a privarlo della resistente dignità di essere umano.
Sono proprio lontani gli anni in cui lo psichiatra Franco Basaglia diceva che “tra la malattia e la persona, poneva più attenzione alla persona”. E' proprio vero che i tanti bravi operatori degli anni passati hanno rinunciato ad umanizzare la psichiatria e la medicina, cedendo il passo alle nuovo  e moderno manicomio, al modello biomedico, all'arida e sorda clinica, rinunciando all'essenza dell'essere umano: le emozioni, i sentimenti, la con-divisione di una scelta.
“Il flusso di idee innovatore è stato bloccato. Forse, spento”, ripetono i familiari dei disagiati psichici.
Oggi, i territori sono invasi da “uomini nuovi”, che impongono e controllano quasi tutti i servizi socio sanitari e socio assistenziali. E' una “razza nuova”, che non conosce e non ha mai dialogato con l'antipsichiatria e  la psichiatria. Una “razza nuova” che non conosce le tante domande di Philip Pinel, David Cooper, Ronald D. Laing, Thomas S. Szasz, Giuseppe Bucalo, Michel Foucault, Franco Basaglia, Sergio Piro, Peppe dell'Acqua, Benedetto Saraceno, John Foot e Piero Cipriano, solo per citarne alcuni.
Gli innovativi servizi territoriali psichiatrici, sperimentati, negli anni Sessanta, a Perugia, a Gorizia e a Trieste sono, ormai, vecchi e tramontati ricordi, piegati a logiche di mercato -alcuni dicono imprenditoriali- controllati da imprenditori, che, forse, ignorano i principi e la storia della riabilitazione psichiatrica.
Ma questa è un'altra storia ben raccontata da Raffaele Cantone nei suoi libri.
E' il ritorno di un passato che torna.
I malati mentali ridiventano numeri, da spostare da un luogo all'altro, da un  non luogo ad un altro non luogo, senza alcun consenso.
In questa devastante realtà, il grande, il bello e l'edificante dibattito sulla salute mentale aperto da cittadini, familiari, volontari, studenti, operatori psichiatrici, parroci, sindacalisti e politici è silente e negli ambulatori rimbomba una stridula voce di qualche medico che dispensa ordini e farmaci.
Può bastare?
La salute mentale è tale se abilitiamo i malati mentali e chi si prende cura per riabilitare la città e la psichiatria dalla povertà del profitto. Ecco, allora, il grande significato del progetto d'inserimento lavorativo del Centro Diurno di Monte Sant'Angelo.
In questo decadente scenario, le buone pratiche degli operatori del Centro Diurno sono la speranza di riumanizzare la riabilitazione psichiatrica, rendendola sociale, aperta alla comunità sociale e scientifica. Buoni propositi per risvegliare gli entusiasmi dei tanti operatori “basagliani”, e non, che non sono ancora stati convinti dal lusinghiero canto di alcune sirene, che annunciano la fine della storia di liberazione del malato mentale.
“Il disimpegno della comunità psichiatrica -afferma Matteo Notarangelo, familiare- non rende migliore le nostre città. Anzi, può accadere che le città diventino più malate e più anonime e questo potrebbe dire molto sulla povertà della psichiatria.”
Anche se con difficoltà resistono territori dove alberga la salute mentale, lo storico e repentino cambiamento, nei luoghi dove si incrociano interessi  e salute pubblica, è avvenuto malgrado la psichiatria e, forse, non insieme e grazia a essa.
E per dirla con lo psichiatra Agostino Pirella, resta aperto alle nuove generazioni “il problema psichiatrico”.  



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