Monte Sant'Angelo, la città dalle tante risorse
Quartiere Galluccio Monte Sant'Angelo (foto web) ndr. |
di Redazione
MONTE SANT'ANGELO (FG), 16 NOV. - a cura di Donata dei Nobili
Monte Sant'Angelo è la storica città dalle tante bellezze. Una città accogliente, dove non c'è freno al calo demografico. L'abbandono della città da parte di tanta gente è un fenomeno sociale poco conosciuto, quasi ignorato. Presto, chi decide di restarci avrà l' obbligo di attraversare gli anfratti della storia locale per osservare le macerie ereditate. Tra quelle rovine, ci saranno il centro storico disabitato e tante case sfitte e deprezzate.
In questo tempo, a lasciare la città non sono solo i giovani, i non occupati e i disoccupati, ma gli studenti, gli occupati, i commercianti e i pensionati. Se negli anni passati ad emigrare erano i membri di famiglie marginali, deboli, privi di reddito, in questi ultimi anni lasciano la città persone con una sicurezza economica, il ceto medio. Coloro che abbandonano l'abitato non sono pressati dalla crisi economica o dalla mancanza di lavoro. I loro stati professionali non sono in crisi, anzi, spesso, sono sicuri. A ragionare con logiche economiche, le loro attività sono in espansione, ben accolte dal mercato.
I giornali e le fonti economiche evidenziano che la domanda nei settori dell'accoglienza, della ristorazione, della panificazione, del turismo e dei servizi non è tutta in crisi, anche se è condizionata da eventi religiosi, politici e sociali. Ad incrementare il consumo interno sono, soprattutto, i pellegrini-turisti, in forte aumento. Ogni anno, Monte Sant'Angelo e il suo santuario accolgono oltre due milioni di visitatori. Buona parte di loro, proviene non solo dai territori provinciali, regionali e nazionali, ma anche da altri stati. Negli anni passati, i pellegrini-turisti visitavano la Montagna sacra e san Michele nel periodo maggio-settembre. In quest'ultimi anni, invece, si incontrano tantissimi visitatori ogni giorno dell'anno con una consistenza inverosimile il sabato e la domenica.
È visibile che la vera economia storica "sommersa" è il turismo religioso e laico, ma non si conosce chi e quanti ne beneficiano. Anche se la maggior parte dei residenti vivono con risorse finanziarie provenienti da pensioni, lavori pubblici e privati, quali operatori scolastici, impiegati statali, regionali e comunali, militari, infermieri, non mancano gli occupati nel terziario. Poche sono le imprese zootecniche e forestali. Arranca, invece, l'occupazione nel settore industriale e la cosiddetta zona industriale non dà la sicurezza lavorativa attesa. Le politiche del settore non sono concertate con gli enti locali, che le subiscono, e si reggono con gli interventi assistenziali dello Stato. Questo scenario sociale e ambientale non disegna un tempo di recessione economica, ma la desertificazione di un territorio boschivo, forestale, marino, ricco di storia e di importanti beni culturali. La gestione oculata di questi beni, potrebbe condizionare in positivo la vita presente e futura della popolazione di Monte Sant'Angelo, ma manca una strategia economica.
La Montagna del sole potrebbe essere una città ricca, in crescita demografica, se gli amministratori non avessero una visione di città del secolo passato.
Il fenomeno del calo demografico non pare che sia solo di natura economica, sociale, antropologica. La decisione di lasciare la città viene motivata da altre ragioni esistenziali. Tra queste, primeggia la qualità della vita. Il mantra della fuga dalla città non parla solo di povertà della gente, ma di disadattamento, solitudine e di una forte carenza di servizi culturali, sociali e assistenziali. Tutele culturali e sociosanitarie che la città non è riuscita a darsi ed oggi sono diversi quelli che le cercano in luoghi geografici diversi.
Per i “nuovi emigranti”, lasciare il paese natio è il modo di manifestare il dissenso a un modello di vita esistente, che per diverse ragioni non vogliono contrastarlo, poiché non hanno la forza di cambiarlo. A sentirli, dicono che le politiche amministrative non aiutano né a crescere la città, né ad avviare nuovi processi di trasformazione sociale ed economica. I deliberati amministrativi li considerano ostili e, spesso, "lacci e lacciuoli", che imbrigliano non solo le iniziative imprenditoriali, ma soprattutto la loro esistenza. Sono queste le convinzioni dei tanti che hanno deciso di trasferirsi nelle città del Nord per raggiungere i figli, emigrati alcuni anni prima. Sono questi miraggi di vita migliore a generare il disimpegno di tanta gente.
Il mito del Nord continua a svuotare le città del Sud. La sfiducia negli amministratori locali motiva le scelte e lascia prevalere quella parassitaria di gruppi d'interesse, che per anni hanno bloccato l'azione collettiva.
“Senatores boni viri, senatus mala bestia.”
Marco Tullio Cicerone con queste parole metteva in guardia la persona, sola ed indifesa, del suo tempo dalla pericolosità delle istituzioni. Come allora, sono in tanti, non solo tra il ceto medio, a percepire, non il senato romano, ma il consiglio comunale, la giunta comunale e anche la burocrazia comunale ostacoli alla crescita ordinata della città e responsabili dell'inarrestabile calo demografico e degrado socioambientale. È risaputo, ormai, che di questi disastri sociali si alimenta il crimine organizzato.
La narrazione della crisi della città potrebbe iniziare dall'industrializzazione della piana di Macchia. Erano i primi anni Sessanta, quando la città aveva i suoi diciotto mila abitanti ed una florida economia artigianale e silvo-pastorale. Da quella illusione industriale, ebbe origine sia lo sconvolgimento urbanistico e sociale della città sia la fine della sua identità economica. Ci furono politiche di espansione edilizia con l'approvazione di un piano regolatore molto vasto nel consumo di territorio. La pianificazione dolosa, oggi, ha mostrato i chiari presupposti speculativi, voluti dagli amministratori degli anni passati.
È una forte crisi d'identità, quella che vive la gente di Monte Sant'Angelo. A manifestarla sono proprio loro, quelli che hanno un reddito e che oggi vivono il default del loro territorio, variegato e ricco. È questa gente che investe e sposta le risorse economiche in altri comuni del nord Italia.
"L'espansione edilizia è stata insensata", ripetono gli autori del disastro edilizio. Ciò nonostante, in quest'ultimi anni si è lasciato ancora edificare in una zona senza alcun servizio, nella parte alta del centro urbano, priva di sbocchi stradali: un enclave.
Il vertiginoso calo demografico e l'invecchiamento della popolazione, invece di contenere l'ubriacatura edilizia e impedire la scomposizione sociale della popolazione, hanno avviato un pericoloso processo irreversibile di disordine urbanistico e di povertà esistenziale della gente, che sta incidendo sulla fuga di tanti abitanti in altri luoghi.
Tanto accadeva solo alcuni anni fa. Chi ha voluto la costruzione di oltre 1500 appartamenti sapeva che le tante costruzioni non avrebbero portato reddito, ricchezza, sviluppo e risposte alle richieste di benessere della popolazione. Le maestranze impegnate sono arrivate da altri comuni, i tanti cittadini acquirenti hanno acceso mutui trentennali, il valore degli immobili, oggi, è dimezzato, i nuovi quartieri sono privi di servizi e distano diversi chilometri dal centro.
Dalle rovine e dallo scempio del territorio è emersa l'assenza di una società ben governata, strutturata, pianificata, degna di essere abitata. Oggi, dopo i tanti disastri, si ritiene che sia diventato impegnativo ricostruire la comunità, sfilacciata, rotta, anomica. Questa è la realtà nella città dell'Arcangelo Michele.
La fuga di tante persone e il disimpegno dei residenti continuano ad allargare la voragine delle solitudini, creando un vuoto generazionale, con una popolazione di anziani, bisognosa di cure e di servizi.
E qui, sia chiaro, non c'entra la quarta mafia, ma una cultura politica, che non ha mai voluto impedire la devastazione paesaggistica e sociale. Si è lasciato gestire il territorio in solitudine, senza alcun controllo, pur sapendo del danno che prima o poi avrebbero pagato le future generazioni.
L' aver sciolto il consiglio comunale, poi, non è stata garanzia di tutela, chi è stato chiamato a farlo non ha contribuito a far crescere il senso della legalità. Quegli anni, vengono ricordati "per la lotta agli anziani ottantenni del centro storico, colpevoli di aver degradato gli antichi rioni per una porta sbagliata, anche se autorizzata," e non per aver aiutato la città a "correggere" i tanti errori dei gruppi politici di governo. Nessuno di questi uomini dello Stato ha avuto il buon senso e la dignità di guardare oltre, mentre cresceva la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni.
La decadenza generale della città di Monte Sant'Angelo, certo, ha una sua genesi, non è nata bella e fatta. In quelle scelte sbagliate, tollerate e lasciate, per molti anni, senza alcuna risposta alberga e sonnecchia la ragione del calo demografico e della diaspora di tanta gente.
È troppo semplice storicizzare i fatti, incolpando la recessione economica o i fenomeni criminali locali, che per essere mafia hanno bisogno della convivenza del potere politico.
Ma questa è un'altra storia.
Gli abitanti di questa città, lo dicono senza freni, non hanno mai udito una voce di ammonimento. Eppure, a quelle forze politiche, economiche è stato concesso l'arbitrio indiscusso, divenuto diritto amministrativo, incontrastato ed inappellabile. Un arbitrio distruttivo accettato e premiato anche durante la celebrazione del rito elettorale.
La città si svuota e diventa sempre più buia.
Questa è lo visione della città, raccontata per farla ricordare.
Quelli che hanno deciso di restare sono consapevoli di dover ricostruire la rete relazionale tra gli abitanti di quest'aspra comunità e dotarla dei necessari servizi culturali, sportivi e ricreativi, peraltro fonti di reddito e di lavoro.
L'onere di frenare la grande deportazioni di massa degli individui di Monte Sant'Angelo nelle città del nord Italia viene vissuta ancora oggi con disagio da chi vuol dare un senso a l'insensata espansione edilizia e attenuare l'orrore di una montagna aggredita, sfregiata dai tanti silenzi compiacenti. In questo tempo, a chi è costretto a vivere sulla Montagna sacra, restano quelle invendibili case e i pesanti muti bancari, una città da ripensare per individuare le giuste traiettorie economiche, cercando di evitare di arginare i disastri dei padri.
Ma se questo è l'aspetto strutturale attuale della Città, qual è quello economico?
Ad uno sguardo superficiale è possibile leggere una forte colonizzazione, attuata da soggetti economici esterni che gestiscono con regolari gare le attività lucrosissime comunali.
Eppure, le nuove generazioni di questa storica città non possono continuare a vivere da spettatori nella solidità del silenzio, soprattutto istituzionale.
MONTE SANT'ANGELO (FG), 16 NOV. - a cura di Donata dei Nobili
Monte Sant'Angelo è la storica città dalle tante bellezze. Una città accogliente, dove non c'è freno al calo demografico. L'abbandono della città da parte di tanta gente è un fenomeno sociale poco conosciuto, quasi ignorato. Presto, chi decide di restarci avrà l' obbligo di attraversare gli anfratti della storia locale per osservare le macerie ereditate. Tra quelle rovine, ci saranno il centro storico disabitato e tante case sfitte e deprezzate.
In questo tempo, a lasciare la città non sono solo i giovani, i non occupati e i disoccupati, ma gli studenti, gli occupati, i commercianti e i pensionati. Se negli anni passati ad emigrare erano i membri di famiglie marginali, deboli, privi di reddito, in questi ultimi anni lasciano la città persone con una sicurezza economica, il ceto medio. Coloro che abbandonano l'abitato non sono pressati dalla crisi economica o dalla mancanza di lavoro. I loro stati professionali non sono in crisi, anzi, spesso, sono sicuri. A ragionare con logiche economiche, le loro attività sono in espansione, ben accolte dal mercato.
I giornali e le fonti economiche evidenziano che la domanda nei settori dell'accoglienza, della ristorazione, della panificazione, del turismo e dei servizi non è tutta in crisi, anche se è condizionata da eventi religiosi, politici e sociali. Ad incrementare il consumo interno sono, soprattutto, i pellegrini-turisti, in forte aumento. Ogni anno, Monte Sant'Angelo e il suo santuario accolgono oltre due milioni di visitatori. Buona parte di loro, proviene non solo dai territori provinciali, regionali e nazionali, ma anche da altri stati. Negli anni passati, i pellegrini-turisti visitavano la Montagna sacra e san Michele nel periodo maggio-settembre. In quest'ultimi anni, invece, si incontrano tantissimi visitatori ogni giorno dell'anno con una consistenza inverosimile il sabato e la domenica.
È visibile che la vera economia storica "sommersa" è il turismo religioso e laico, ma non si conosce chi e quanti ne beneficiano. Anche se la maggior parte dei residenti vivono con risorse finanziarie provenienti da pensioni, lavori pubblici e privati, quali operatori scolastici, impiegati statali, regionali e comunali, militari, infermieri, non mancano gli occupati nel terziario. Poche sono le imprese zootecniche e forestali. Arranca, invece, l'occupazione nel settore industriale e la cosiddetta zona industriale non dà la sicurezza lavorativa attesa. Le politiche del settore non sono concertate con gli enti locali, che le subiscono, e si reggono con gli interventi assistenziali dello Stato. Questo scenario sociale e ambientale non disegna un tempo di recessione economica, ma la desertificazione di un territorio boschivo, forestale, marino, ricco di storia e di importanti beni culturali. La gestione oculata di questi beni, potrebbe condizionare in positivo la vita presente e futura della popolazione di Monte Sant'Angelo, ma manca una strategia economica.
La Montagna del sole potrebbe essere una città ricca, in crescita demografica, se gli amministratori non avessero una visione di città del secolo passato.
Il fenomeno del calo demografico non pare che sia solo di natura economica, sociale, antropologica. La decisione di lasciare la città viene motivata da altre ragioni esistenziali. Tra queste, primeggia la qualità della vita. Il mantra della fuga dalla città non parla solo di povertà della gente, ma di disadattamento, solitudine e di una forte carenza di servizi culturali, sociali e assistenziali. Tutele culturali e sociosanitarie che la città non è riuscita a darsi ed oggi sono diversi quelli che le cercano in luoghi geografici diversi.
Per i “nuovi emigranti”, lasciare il paese natio è il modo di manifestare il dissenso a un modello di vita esistente, che per diverse ragioni non vogliono contrastarlo, poiché non hanno la forza di cambiarlo. A sentirli, dicono che le politiche amministrative non aiutano né a crescere la città, né ad avviare nuovi processi di trasformazione sociale ed economica. I deliberati amministrativi li considerano ostili e, spesso, "lacci e lacciuoli", che imbrigliano non solo le iniziative imprenditoriali, ma soprattutto la loro esistenza. Sono queste le convinzioni dei tanti che hanno deciso di trasferirsi nelle città del Nord per raggiungere i figli, emigrati alcuni anni prima. Sono questi miraggi di vita migliore a generare il disimpegno di tanta gente.
Il mito del Nord continua a svuotare le città del Sud. La sfiducia negli amministratori locali motiva le scelte e lascia prevalere quella parassitaria di gruppi d'interesse, che per anni hanno bloccato l'azione collettiva.
“Senatores boni viri, senatus mala bestia.”
Marco Tullio Cicerone con queste parole metteva in guardia la persona, sola ed indifesa, del suo tempo dalla pericolosità delle istituzioni. Come allora, sono in tanti, non solo tra il ceto medio, a percepire, non il senato romano, ma il consiglio comunale, la giunta comunale e anche la burocrazia comunale ostacoli alla crescita ordinata della città e responsabili dell'inarrestabile calo demografico e degrado socioambientale. È risaputo, ormai, che di questi disastri sociali si alimenta il crimine organizzato.
La narrazione della crisi della città potrebbe iniziare dall'industrializzazione della piana di Macchia. Erano i primi anni Sessanta, quando la città aveva i suoi diciotto mila abitanti ed una florida economia artigianale e silvo-pastorale. Da quella illusione industriale, ebbe origine sia lo sconvolgimento urbanistico e sociale della città sia la fine della sua identità economica. Ci furono politiche di espansione edilizia con l'approvazione di un piano regolatore molto vasto nel consumo di territorio. La pianificazione dolosa, oggi, ha mostrato i chiari presupposti speculativi, voluti dagli amministratori degli anni passati.
È una forte crisi d'identità, quella che vive la gente di Monte Sant'Angelo. A manifestarla sono proprio loro, quelli che hanno un reddito e che oggi vivono il default del loro territorio, variegato e ricco. È questa gente che investe e sposta le risorse economiche in altri comuni del nord Italia.
"L'espansione edilizia è stata insensata", ripetono gli autori del disastro edilizio. Ciò nonostante, in quest'ultimi anni si è lasciato ancora edificare in una zona senza alcun servizio, nella parte alta del centro urbano, priva di sbocchi stradali: un enclave.
Il vertiginoso calo demografico e l'invecchiamento della popolazione, invece di contenere l'ubriacatura edilizia e impedire la scomposizione sociale della popolazione, hanno avviato un pericoloso processo irreversibile di disordine urbanistico e di povertà esistenziale della gente, che sta incidendo sulla fuga di tanti abitanti in altri luoghi.
Tanto accadeva solo alcuni anni fa. Chi ha voluto la costruzione di oltre 1500 appartamenti sapeva che le tante costruzioni non avrebbero portato reddito, ricchezza, sviluppo e risposte alle richieste di benessere della popolazione. Le maestranze impegnate sono arrivate da altri comuni, i tanti cittadini acquirenti hanno acceso mutui trentennali, il valore degli immobili, oggi, è dimezzato, i nuovi quartieri sono privi di servizi e distano diversi chilometri dal centro.
Dalle rovine e dallo scempio del territorio è emersa l'assenza di una società ben governata, strutturata, pianificata, degna di essere abitata. Oggi, dopo i tanti disastri, si ritiene che sia diventato impegnativo ricostruire la comunità, sfilacciata, rotta, anomica. Questa è la realtà nella città dell'Arcangelo Michele.
La fuga di tante persone e il disimpegno dei residenti continuano ad allargare la voragine delle solitudini, creando un vuoto generazionale, con una popolazione di anziani, bisognosa di cure e di servizi.
E qui, sia chiaro, non c'entra la quarta mafia, ma una cultura politica, che non ha mai voluto impedire la devastazione paesaggistica e sociale. Si è lasciato gestire il territorio in solitudine, senza alcun controllo, pur sapendo del danno che prima o poi avrebbero pagato le future generazioni.
L' aver sciolto il consiglio comunale, poi, non è stata garanzia di tutela, chi è stato chiamato a farlo non ha contribuito a far crescere il senso della legalità. Quegli anni, vengono ricordati "per la lotta agli anziani ottantenni del centro storico, colpevoli di aver degradato gli antichi rioni per una porta sbagliata, anche se autorizzata," e non per aver aiutato la città a "correggere" i tanti errori dei gruppi politici di governo. Nessuno di questi uomini dello Stato ha avuto il buon senso e la dignità di guardare oltre, mentre cresceva la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni.
La decadenza generale della città di Monte Sant'Angelo, certo, ha una sua genesi, non è nata bella e fatta. In quelle scelte sbagliate, tollerate e lasciate, per molti anni, senza alcuna risposta alberga e sonnecchia la ragione del calo demografico e della diaspora di tanta gente.
È troppo semplice storicizzare i fatti, incolpando la recessione economica o i fenomeni criminali locali, che per essere mafia hanno bisogno della convivenza del potere politico.
Ma questa è un'altra storia.
Gli abitanti di questa città, lo dicono senza freni, non hanno mai udito una voce di ammonimento. Eppure, a quelle forze politiche, economiche è stato concesso l'arbitrio indiscusso, divenuto diritto amministrativo, incontrastato ed inappellabile. Un arbitrio distruttivo accettato e premiato anche durante la celebrazione del rito elettorale.
La città si svuota e diventa sempre più buia.
Questa è lo visione della città, raccontata per farla ricordare.
Quelli che hanno deciso di restare sono consapevoli di dover ricostruire la rete relazionale tra gli abitanti di quest'aspra comunità e dotarla dei necessari servizi culturali, sportivi e ricreativi, peraltro fonti di reddito e di lavoro.
L'onere di frenare la grande deportazioni di massa degli individui di Monte Sant'Angelo nelle città del nord Italia viene vissuta ancora oggi con disagio da chi vuol dare un senso a l'insensata espansione edilizia e attenuare l'orrore di una montagna aggredita, sfregiata dai tanti silenzi compiacenti. In questo tempo, a chi è costretto a vivere sulla Montagna sacra, restano quelle invendibili case e i pesanti muti bancari, una città da ripensare per individuare le giuste traiettorie economiche, cercando di evitare di arginare i disastri dei padri.
Ma se questo è l'aspetto strutturale attuale della Città, qual è quello economico?
Ad uno sguardo superficiale è possibile leggere una forte colonizzazione, attuata da soggetti economici esterni che gestiscono con regolari gare le attività lucrosissime comunali.
Eppure, le nuove generazioni di questa storica città non possono continuare a vivere da spettatori nella solidità del silenzio, soprattutto istituzionale.
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