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Nella Settimana dell'Educazione, raccontiamo la Biblioteca “Ciro Angelillis” di Monte Sant’Angelo

L'istituto Comprensivo Statale “Giovanni Tancredi - Vincenzo Amicarelli” e la biclioteca (foto in allegato) ndr.
di Redazione

MONTE SANT'ANGELO (FG), 10 NOV. - a cura di Donata dei Nobili.
Anche quest'anno è stata indetta la “Settimana della Cultura nella Città di Monte Sant'Angelo”. L'Amministrazione comunale e gli Istituti scolastici hanno dedicato questa seconda edizione ai cammini. “Camminare -è scritto in un articolo pubblicato sul sito del comune di Monte Sant'Angelo- significa guardare avanti, al futuro, e questo cammino vogliamo farlo insieme”. Da questa idea, prendeva anima il titolo della manifestazione “La scuola in cammino a Monte Sant'Angelo”. Il sindaco Pierpaolo D'Arienzo e l'assessora Rosa Palomba riferivano che oltre ai cammini sulla via Francigena, quindi Pulsano, Scannamugliera e Madonna degli Angeli, gli studenti avrebbero effettuato anche le invasioni educative' alla scoperta delle tracce dei popoli che sono passati per Monte Sant'Angelo”.
“Le invasioni educative” hanno, certo, il fine di far conoscere il proprio territorio e la propria storia ai tanti giovani ragazzi. Un' intenzione che faceva dire a Michela Granatiero, dirigente dell'Istituto Superiore “Gian Tommaso Giordani”, “La parola educare, come molti sanno, ha la sua radice etimologica nel verbo latino ducere, che in italiano diventa condurre. Sembra pertanto naturale in questa settimana dell'educazione, che ha come tema i cammini, porsi le seguenti domande: attraverso quali cammini la scuola del XXI secolo deve condurre le nuove generazioni? Quelli reali o quelli virtuali? La meta finale di questi cammini è invece certa: in ogni modo deve essere il successo formativo dei nostri ragazzi, soprattutto come cittadini del mondo globale”.
E' tutto vero, quanto affermato dai rappresentanti del Comune e della Scuola, ma per “guardare avanti , al futuro”,  bisogna conoscere il passato, la storia dei padri per raccontarla ai figli.
Con questa convinzione, anche gli allievi della scuola 'media' hanno voluto raccogliere l'invito istituzionale. E si sono incamminati nella ricerca storica.
Dai loro lavori, hanno scoperto che i ragazzi delle nuove generazioni di Monte Sant'Angelo non sanno dell'esistenza della biblioteca comunale. Di loro, alcuni ne hanno sentito parlare e pochissimi l'hanno visitata.
È questa l'incredibile constatazione che ha motivato alcuni docenti dell'istituto Comprensivo Statale “Giovanni Tancredi - Vincenzo Amicarelli”  a pianificare un percorso di conoscenza dello studioso Giovanni Tancredi per raccontare le vicissitudini dalla sua “Biblioteca Popolare”, oggi conosciuta come biblioteca “Ciro Angelillis”.

Con gli allievi, i docenti hanno concordato e avviato ricerche mirate, per ricostruire la storia della locale biblioteca e di altri luoghi.
In questo percorso di studio e di conoscenza, sono stati coinvolti genitori, cittadini e docenti, i quali hanno svelato alcune verità storiche negate.
Dalle molte narrazioni ascoltate, sono emerse storie diverse da quelle ufficiali.
Le persone ascoltate hanno riferito che la storia della biblioteca “Ciro Angelillis” di Monte Sant’Angelo  è una travagliata storia locale; è la storia non raccontata alla comunità; è una storia negata: lo specchio  del vivere quotidiano degli individui, che abitano la città.

Uno degli inquietanti racconti è quello che la Biblioteca civica non è stata desiderata, voluta, accettata dagli amministratori di allora. I galantuomini, figli di pastori e guardiani della proprietà fondiaria feudale, l'hanno sempre avversata, temuta e ostacolata la nascita e la sopravvivenza della nascente “Biblioteca Popolare”, voluta ed immaginata da Giovanni Tancredi.

Dai documenti letti, emerge che nella città dell'Arcangelo, la lettura dei libri spaventava i proprietari. All'inizio del ventesimo secolo, il 95% della popolazione di Monte Sant'Angelo era analfabeta, viveva in uno stato di forte disagio economico e in condizioni igieniche pessime. C'erano, allora,  due città, quella dentro le mura e quella fuori le mura. Il paese era la prima città  e veniva abitato dai galantuomini, dai pochi commercianti, dagli artigiani, dai pochissimi impiegati, professionisti e da tante famiglie poverissime, che vivevano in grotte. Il cuore del paese era il “municipio” con le sue leggi scritte. La seconda città era la campagna, dove vivevano tantissimi contadini, pastori e allevatori. Il cuore della campagna era il bosco con le sue leggi non scritte. Due mondi che coesistevano, i signori e i cafoni. Due modi di vivere che, per ragioni diverse, temevano il potere dell'istruzione, della lettura, i cambiamenti. Allora, come ora, quasi tutti accettavano la città chiusa, rigida, statica, conservatrice, silenziosa.
Da quanto hanno scritto gli storici, in questa città, come in quelle del Mezzogiorno, i galantuomini non volevano modificare la struttura sociale per non cedere beni e privilegi, pertanto, si mostravano ostili a ogni idea innovatrice, negandola.
La verità negata è che il potere municipale e i suoi galantuomini, per questi motivi, non hanno mai permesso il risveglio culturale ai suoi concittadini, abitanti della campagna, che potevano, se avessero acquisito i saperi derivanti dalla lettura, dallo studio, destabilizzare l'ordine sociale e politico dei possidenti, arricchiti con l'occupazione delle terre pubbliche. Le stesse terre che, con i feudatari  garantivano gli  usi  civici, con i nuovi possidenti divennero inaccessibili.
Per loro, la biblioteca, come conoscenza, sapere e consapevolezza, era un pericolo non solo per l'ordine sociale, economico e familiare  appena costituito, ma, soprattutto, per la proprietà acquisita
illegalmente.
In questo scenario esistenziale, pochi individui avevano cercato di ingentilire la città, raccontando
e scrivendo gli accadimenti, religiosi e laici, della propria gente.
Tra questi, c'era Giovanni Tancredi, figlio di Luigi. Il nonno, Giovanni, alla fine del 1860, si era trasferito dal salernitano a Monte Sant'Angelo. Per questo motivo, lo studioso Giovanni Tancredi veniva considerato un forestiero, un estraneo, avversato dai nuovi proprietari, che, dopo la conquista e il saccheggio del Sud del 1861, controllavano non solo la città, ma anche la campagna.
Due luoghi utili al potere extralegale.
La storia della Città narra questi vissuti, vicende di un popolo, schiacciato dalla miseria, dalla fede e
dagli abusi dei suoi galantuomini.
Nella biblioteca di Monte Sant'Angelo, Giovanni Tancredi voleva custodire la memoria di questo popolo, raccolta, poi, nei suoi libri, che raccontano la storia risorgimentale della Città, i fatti e i misfatti di questa gente e gli usi e costumi della popolazione di Monte Sant'Angelo.
Per lui, la lettura era il modo per alfabetizzare alcuni di quel 95% di analfabeti, che abitavano l'aspra e gelida montagna, chiamata sacra.
Giovanni Tancredi con la sua Biblioteca Popolare tentava di portare nella sua città natìa le pratiche pedagogiche che apprendeva con i suoi viaggi di studi a Milano, diciamolo: era un figlio di quel tempo storico e cercava di emancipare le maggioranze di contadini e di cafoni senza istruzione per preparare il loro ingresso civile e politico nella vita delle città. Era questa la motivazione che induceva il maestro Giovanni Tancredi ad aprire anche a Monte Sant'Angelo la sua “Biblioteca Popolare”.

“A distanza di tempo, immaginare una città che distrugge la sua biblioteca e nega la sua storia è sconfortante. Ancora più grave è incontrare un popolo e i suoi eletti disinteressati ai luoghi della loro memoria. Peggio è parlare con i tanti amministratori, che non osteggiano l'apertura della biblioteca, ma la lasciano  nell'incuria, nell'abbandono”, sono queste le dichiarazioni raccolte.
Di fronte a questo tipo di cultura ottocentesca imperante, nella città micaelica non è difficile vivere la notte dei tempi. Il disinteresse per una delle principali istituzioni culturali, qual è la biblioteca, fa della gente, che invoca i propri dominatori longobardi, normanni, svevi, angioini o aragonesi, un gruppo sociale rude. Questi uomini  non riescono a gustare il piacere di godere del salotto buono di ogni città, che è, appunto, la biblioteca.
Costoro, figli inconsapevoli della vecchia cultura dei galantuomini, con un simile retaggio culturale, vengono visti come  chi  nega la propria storia, quella conosciuta, ma non scritta, non raccontata.
Dopo aver  conosciuto lo scenario antropologico, sociale, storico,  gli alunni con le loro ricerche hanno cercato di strutturare il racconto della  biblioteca comunale, scavando nei pochi scritti esistenti, custoditi nelle diverse biblioteche private.
Una narrazione che inizia dal 1906.
Si, perché nel lontano 1906, nonostante tutto, Giovanni Tancredi costituì, nella propria abitazione, una piccola biblioteca,  “... devo dirvi che fondai la Biblioteca popolare in questo Comune nel 1906, con grande soddisfazione dei lettori i quali aumentarono sempre di più. Funzionò circa tre anni e da
me fu arricchita di circa trecento volumi e di molte riviste. Siccome non avevo dove metterli più in casa mia, chiesi invano due o tre scaffali agli amministratori del tempo, i quali non compresero l'importanza della nobilissima istituzione. Fui costretto a chiuderla sia perché non avevo un piccolo locale dove poter depositare i libri, sia perché molti guai fiaccarono il mio spirito”, così scriveva lo
studioso Giovanni Tancredi.
Erano gli anni della belle époque, quando Giovanni Tancredi con la sua biblioteca iniziò a fornire i
primi strumenti culturali ai tanti individui, esclusi e tenuti ai margine della vita pubblica cittadina.
Non durò il sogno innovatore.
Il 1909 la città si privò della graziosa biblioteca domestica e, per diversi anni, nessuno ne parlò.
Nel 1929, Giovanni Tancredi chiese al podestà Lanzetta di aprire una biblioteca pubblica. La richiesta venne accolta. Il Podestà destinò a tale scopo una modesta casa di proprietà del Comune nel centro della Città, fece costruire suppellettili indispensabili, commissionò la legatura dei libri sgualciti e stanziò nel bilancio comunale mille lire annue, esclusivamente per l'acquisto dei libri.
Questo sprazzo di disponibilità durò poco.
“Il nuovo Podestà, prof. Ciociola, mente eletta, - scrive nel 1941 Giovanni Tancredi-  mi diede l'incarico di riordinare e di riaprire al pubblico la biblioteca un anno prima che scadesse il quadriennio, ma poi non se ne fece più nulla, per risparmio di spese. Agli attuali Segretario politico e Podestà feci notare la eccezionale importanza di quella biblioteca popolare [...]. Promisero, ma da giovani inesperti nulla hanno fatto e per giunta l'hanno tolta addirittura”.
In quegli anni, la Biblioteca aveva poco valore sociale, il Podestà non ebbe freni a chiuderla e lo fece “mentre mi trovavo in villeggiatura - continua a scrivere Tancredi-, nei mesi di luglio, agosto e
settembre, il Podestà per 400 lire annue affittò il modesto locale al bidello del Circolo [...]. Non credette neppure opportuno consultarmi”.
Il tentativo di riaprirla fu fatto nel 1946, ma senza esito. “L’antica aspirazione – scrive Antonio Dante Ciuffreda, già sindaco della Città – è realizzata il 1° novembre del 1966”. Allora, il patrimonio librario era costituito dalla “cospicua libreria di Ciro Angelillis” e dal fondo della “Popolare” di Giovanni Tancredi”.
In quella statica società, aprire una biblioteca era  diventato, ormai,  un vero atto rivoluzionario.
Oggi, invece, a provocarne il degrado è il flagello del disinteresse di individui alla ricerca di una “nuova” socialità. “Il paradosso del potere municipale è quello di spendere moltissime risorse finanziarie pubbliche nei tanti solitari convegni, continuando a negare la biblioteca, sventolando un futuro progetto di ristrutturazione”.
Nella città, i pochi informati continuano a considerare, a distanza di anni, gli amministratori avversari delle loro popolazioni, costruttori di “delitti” socio-culturali.
Ostacolare la vita di una biblioteca è costruire il fallimento della città, è far dire ai tanti alunni: “Prof., che cosa è una biblioteca comunale?”.
E’ questo l’archetipo dell’uomo “nuovo” in cammino verso la ridente Monte Sant'Angelo?
L'abbandono della biblioteca è un delitto singolare a danno non solo della comunità, ma dell’umanità. Un vile danno alla memoria collettiva, che adombra la dignità e l’identità di un popolo, che rinuncia con i propri silenzi alla sua memoria.
Questa storia, certo, potrebbe indisporre le anime incantate e le anime morte, ma è utile a capire i moti dell’animo dei protagonisti faustiani della storia della civica Biblioteca “C. Angelillis”.
Lasciamo parlare Antonio Dante Ciuffreda, allora sindaco: “A Monte Sant’Angelo non mancavano biblioteche scolastiche e private e da tempo era attivo il commercio dei libri, quando la presente amministrazione comunale (1966) diceva di ridare vita alla “Popolare” del 1906. Pertanto vi pensò non come un altro deposito di carta stampata, con a guardare qualche sollecitatore di “posto”, ma come un un organismo complesso, vivo e vitale, sensibile alle moderne esigenze”.
Al di là di ogni considerazione, è azzardato oggi definire biblioteca un luogo dove non si acquistano
libri da tantissimi anni e l’illuminazione è data da tre vecchi fari da cantiere edile.
Ma questa è un’altra storia.
In questa triste racconto,  c'è  “un grande disordine sotto il cielo della città garganica”.
E’ vero, c’è da rifondare la nuova biblioteca.
E a questo punto sarebbe utile avviare un'altra ricerca, per non negare altre verità.
Intanto, gli allievi comminano verso il futuro.

 



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