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Autovelox: abolita la distanza fissa tra cartello e polizia (fonte: laleggepertutti.it)

Cartello Autovelox (foto web) ndr.
di Redazione

ROMA, 13 DIC. - fonte: www.laleggepertutti.it

Una sentenza fa distinzione tra autovelox mobili e autovelox fissi creando un’ingiustificata disparità di trattamento tra gli automobilisti.

Un tempo era sempre di 1 chilometro la distanza minima tra l’autovelox e il cartello con l’avviso all’automobilista. Oggi, invece, non lo è più. A dirlo è una sentenza della Cassazione pubblicata ieri [1]. Secondo la Corte è stata, infatti, abolita la distanza “fissa”: bisogna valutare caso per caso se, nella circostanza concreta, è stato dato al conducente sufficiente spazio per frenare.

La pronuncia è particolare e forse pericolosa. Secondo i giudici, quando si tratta di autovelox mobili – quelli cioè posizionati sui treppiedi ai margini della strada, con la polizia accanto – la pattuglia deve avere l’accortezza di posizionarsi a una «distanza adeguata». Quest’ultima va rapportata al tipo di strada: in città, dove la velocità è sempre più bassa e la frenata si raggiunge in minor spazio, è legittimo posizionare l’autovelox anche a meno di 1 km rispetto al cartello. All’opposto può succedere in autostrada dove, raggiungendo i 130 km/h, il rallentamento richiede più tempo.

Il fine della norma che impone la presenza del cartello è di evitare che il conducente, alla vista della segnaletica con il preavviso dell’autovelox, inchiodi il veicolo costituendo così un serio pericolo per il traffico.

Spetterà poi al giudice di pace – eventualmente vocato dall’automobilista con l’apposito ricorso contro la multa – stabilire se la distanza è stata effettivamente congrua e adeguata.

Veniamo alle critiche che si possono muovere a tale pronuncia. Secondo la Corte, la distanza di 1 chilometro vale solo per gli autovelox mobili mentre resta in piedi per quelli fissi, ossia per gli apparecchi che operano in modalità automatica, senza bisogno degli agenti accanto. Per questi ultimi, quindi, la distanza tra segnaletica e luogo del rilevamento della velocità è certa e predeterminata sempre dalla legge (appunto 1 km).

Qui, però, la contraddizione: come fa l’automobilista a sapere in anticipo, ossia alla vista del cartello, quale tipo di postazione sarà presente ai margini della carreggiata? Se è vero che scopo della norma è garantire a chi sta al volante uno spazio di frenata non brusco, è anche vero che quest’ultimo deve sapere quanti metri gli sono concessi per decelerare ed evitare la multa. Cosa che però, in questo modo, non avviene. Con la conseguenza, quindi, che il conducente sarà portato sempre a “inchiodare” immediatamente.

Quanto, invece, alla distanza massima tra il cartello e l’autovelox, questa resta sempre di 4 chilometri: dopodiché o l’avviso viene ripetuto o la contravvenzione non può più essere elevata (e, nel caso contrario, è illegittima).


[1] Corte di cassazione – Sezione II civile – Sentenza 9 dicembre 2019 n. 32104.


La Sentenza della Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 ottobre – 9 dicembre 2019, n. 32104
Presidente Gorjan – Relatore Carrato

Rilevato in fatto

La Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Grosseto ha proposto ricorso per cassazione, articolato in un unico complesso motivo, avverso la sentenza del Tribunale di Grosseto n. 911/2016, pubblicata l’8 novembre 2016 (e non notificata), che aveva accolto l’appello formulato dal sig. T.G. contro la sentenza di primo grado n. 33/2015 del Giudice di pace di Grosseto. L’intimato T.G. si è ritualmente costituito in questa fase di legittimità depositando controricorso, con il quale ha instato per il rigetto del ricorso.

La causa aveva avuto origine dalla proposizione dell’opposizione, da parte del T. , avverso l’ordinanza-ingiunzione in data 14/5/2014, con la quale il Prefetto di Grosseto gli aveva irrogato apposita sanzione pecuniaria per la violazione di cui all’art. 142 C.d.S. 1992, comma 8, accertata con verbale della locale Polizia municipale per aver circolato alla velocità di 88 km/h, superando di oltre 10 km/h il limite massimo di velocità ivi stabilito in 70 km/h (nel tratto della (omissis) , in direzione (omissis) ). L’adito Giudice di pace rigettava l’opposizione con la richiamata decisione che, tuttavia, veniva riformata con la sentenza del Tribunale di Grosseto, qui impugnata, con il conseguente annullamento dell’opposto provvedimento sanzionatorio amministrativo.

A fondamento della sua pronuncia il giudice di appello rilevava che la L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2, nel prescrivere che i dispositivi di controllo finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all’art. 142 C.d.S., “fuori dei centri abitati non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità” si riferisce indistintamente a tutti i suddetti dispositivi di rilevamento elettronico, cioè sia a quelli di tipo remoto (con postazione fissa) che a quelli di tipo mobile presidiati da pattuglia di rilevamento (e, nella fattispecie, l’accertamento era stato effettuato con un dispositivo nella disponibilità e utilizzato da una pattuglia mobile, che, però, era stato posizionato ad una distanza inferiore a quella prescritta di 1 km dal punto in cui risultava essere stato collocato il segnale con il quale era stato imposto il limite di velocità).

In un primo momento il ricorso veniva avviato per la sua definizione con il procedimento camerale previsto dall’art. 380-bis c.p.c., dinanzi alla VI Sezione, ma, all’esito della relativa adunanza camerale, il collegio ravvisava l’opportunità di rimetterne la trattazione e la decisione alla pubblica udienza della Seconda Sezione.

Considerato in diritto

1. Con l’unico motivo formulato la Prefettura di Grosseto ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2, sul presupposto dell’asserita erroneità ed illegittimità dell’interpretazione di detta norma nella parte in cui, con l’impugnata sentenza, è stata ritenuta applicabile (con la conseguente ravvisata necessità dell’osservanza della distanza di 1 Km tra il punto in cui collocare il dispositivo di controllo della velocità e quello in cui è ubicato il segnale indicante il limite massimo di velocità) anche alle ipotesi – come quella verificatasi nel caso di specie – nelle quali l’accertamento mediante l’apparecchiatura di rilevamento elettronico della velocità sia stato effettuato in modalità manuale con la presenza degli agenti di Polizia stradale.

2. Rileva il collegio che la proposta censura è fondata per le ragioni che seguono.

È opportuno preliminarmente richiamare il quadro normativo da tenere necessariamente presente per la risoluzione della questione di diritto posta con il ricorso.

La L. 29 agosto 2010, n. 120 (contenente “Disposizioni in materia di sicurezza stradale”), ratione temporis applicabile nel caso di specie, ha previsto all’art. 25, comma 1, per quanto qui viene in rilievo con riferimento al pregresso testo dell’art. 142 C.d.S. 1992, l’aggiunta dei seguenti commi: “12-bis. I proventi delle sanzioni derivanti dall’accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità stabiliti dal presente articolo, attraverso l’impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero attraverso l’utilizzazione di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni ai sensi del D.L. 20 giugno 2002, n. 121, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 1 agosto 2002, n. 168 e successive modificazioni, sono attribuiti, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all’ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l’accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni ai sensi del D.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 39 e all’ente da cui dipende l’organo accertatore, alle condizioni e nei limiti di cui ai commi 12-ter e 12-quater (…) 12-ter. Gli enti di cui al comma 12-bis destinano le somme derivanti dall’attribuzione delle quote dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al medesimo comma alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale, nel rispetto della normativa vigente relativa al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego e al patto di stabilità interno.

12-quater. Ciascun ente locale trasmette in via informatica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell’interno, entro il 31 maggio di ogni anno, una relazione in cui sono indicati, con riferimento all’anno precedente, l’ammontare complessivo dei proventi di propria spettanza di cui dell’art. 208, comma 1 e al comma 12-bis del presente articolo, come risultante da rendiconto approvato nel medesimo anno, e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, con la specificazione degli oneri sostenuti per ciascun intervento. La percentuale dei proventi spettanti ai sensi del comma 12-bis è ridotta del 30 per cento annuo nei confronti dell’ente che non trasmetta la relazione di cui al periodo precedente, ovvero che utilizzi i proventi di cui al primo periodo in modo difforme da quanto previsto dell’art. 208, comma 4 e dal comma 12-ter del presente articolo, per ciascun anno per il quale sia riscontrata una delle predette inadempienze”.

Con la L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2, in questione è stato, altresì, disposto che:

” Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’interno, sentita la Conferenza Stato – città ed autonomie locali, è approvato il modello di relazione di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 142, comma 12-quater, introdotto dal presente articolo, e sono definite le modalità di trasmissione in via informatica della stessa, nonché le modalità di versamento dei proventi di cui al comma 12-bis agli enti ai quali sono attribuiti ai sensi dello stesso comma. Con il medesimo decreto sono definite, altresì, le modalità di collocazione e uso dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 142, che fuori dei centri abitati non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità”.

Orbene, alla stregua di tale impianto normativo, non appare discutibile che quest’ultimo periodo della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2, si fonda sul medesimo presupposto normativo di cui al periodo precedente, il quale, a sua volta, rimanda all’art. 142 C.d.S., comma 12-quater (introdotto come evidenziato – dalla medesima L. n. 120 del 2010), che pone ulteriore riferimento all’antecedente comma 12-bis C.d.S. (anch’esso frutto di aggiunta a mezzo dell’art. 25, comma 1 in esame), il quale pone riguardo alle violazioni dei limiti massimi di velocità stabiliti dal presente articolo, attraverso l’impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero attraverso l’utilizzazione di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni ai sensi del D.L. 20 giugno 2002, n. 121, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 1 agosto 2002, n. 168.

Da questo coacervo normativo deriva che la previsione normativa di cui alla L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2, nel prevedere che i dispositivi ed i mezzi tecnici di controllo finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme dell’art. 142 C.d.S., debbano essere collocati ad almeno un chilometro dal segnale stradale che impone il limite di velocità, ha inteso riferirsi unicamente ai casi in cui i dispositivi siano finalizzati al controllo remoto delle violazioni e cioè siano collocati ai sensi del D.L. n. 121 del 2002, citato art. 4 (come convertito in legge) e, perciò, non riguarda i casi in cui l’accertamento dell’illecito sia effettuato con apparecchi elettronici mobili presidiati con la presenza di un organo di polizia stradale, la cui distanza deve essere soltanto adeguata e non è, quindi, da ritenersi prefissata normativamente (in tal senso, in via interpretativa, ancorché non in modo vincolante, hanno chiarito il complesso normativo in questione le circolari del Ministero dell’Interno del 12 agosto 2010, n. 300/A/11310/10/101/3/3/9, del 29 dicembre 2010, n. 300/A/16052/10/101/3/3/9 e del 26 marzo 2012, n. 300/A/2289/12/101/3/3/9, le quali pongono, infatti, tutte riferimento alla portata della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2).

Questa interpretazione è da privilegiarsi perché si pone in un rapporto di coerenza logica con la ragione giustificatrice sottesa alla norma di cui dell’art. 25, comma 2, della più volte citata L. n. 120 del 2010, che corrisponde a quella di consentire all’utente stradale di disporre di elementi per poter avvistare, in tempo utile, la prescrizione relativa al mutamento del limite di velocità, al fine di regolare quest’ultima in condizioni di sicurezza, ovvero in conformità alla valutazione prudenziale predeterminata ex ante dall’ente proprietario o gestore del tratto stradale.

Pertanto, nel caso di dispositivi completamente automatici, tali elementi di sostanziano unicamente nell’apposizione del cartello segnalatore della velocità, onde si profila congruo imporre una determinata ed ampia distanza tra il segnale e la postazione di rilevamento (pari, per l’appunto, ad almeno 1 Km), mentre nell’ipotesi di accertamento eseguito con modalità manuale mediante apparecchi elettronici nella diretta disponibilità della polizia stradale e dagli stessi agenti gestiti con la presenza in loco, quest’ultima predisposizione rappresenta un elemento ulteriore (rispetto al punto in cui risulta apposto il cartello indicatore del limite di velocità) per effetto del quale l’utente è messo nelle condizioni di avvistare, con maggiore anticipo, la stessa posizione di rilevamento, così rimanendo giustificata l’esclusione dell’osservanza del predetto limite di 1 Km previsto dalla L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2.

Deve, perciò, affermarsi il principio di diritto, al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio, in base al quale il disposto della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2 – che impone l’obbligo di collocare il dispositivo di rilevamento elettronico ad almeno un chilometro dal segnale stradale che impone il limite di velocità – si riferisce esclusivamente alle ipotesi in cui l’accertamento del superamento di detto limite avvenga mediante l’impiego di dispostivi di controllo remoto delle violazioni installati ai sensi del D.L. 20 giugno 2002, n. 121, art. 4 (conv., con modif., dalla L. 1 agosto 2002, n. 168), e non invece ai casi (come avvenuto nella fattispecie oggetto di causa) nei quali l’accertamento sia stato effettuato in modalità manuale con la presenza degli operatori di polizia stradale.

Di conseguenza, non dovendo, nel caso di specie, rispettarsi il menzionato limite di 1 Km, essendo stato effettuato il rilevamento elettronico con apparecchio mobile manualmente approntato e fatto funzionare, la sentenza qui impugnata è da ritenersi errata sul piano giuridico, essendo sufficiente, per il tipo di strada in cui era stato eseguito l’accertamento (classificata come strada extraurbana secondaria), osservare una distanza solo adeguata dal punto di installazione dell’apparato a quello del concreto rilevamento (per effetto del c.d. “puntamento”) della velocità, in modo da garantirne il tempestivo avvistamento. La giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 25769/2013 e Cass. n. 20327/2018) ha, al riguardo, precisato che la distanza tra segnali stradali o dispositivi luminosi e la postazione di rilevamento con modalità manuale deve essere valutata in relazione allo stato dei luoghi, senza che assuma alcun rilevo la mancata ripetizione della segnalazione di divieto dopo ciascuna intersezione per gli automobilisti che proseguano lungo la medesima strada (il Ministero dell’Interno ha posto riferimento a tale criterio con la recente Direttiva del Dipartimento Pubblica Sicurezza – Servizio Polizia stradale, registrata il 21 luglio 2017, prot. 300/A/5620/17/144/5/20/3).

Da ciò consegue che il Tribunale di Grosseto sarà tenuto ad effettuare in sede di rinvio tale verifica in concreto, soprattutto alla stregua dell’attestazione – di cui viene dato atto nell’impugnata sentenza – proveniente dall’appellato Prefetto secondo cui, in base alla documentazione prodotta fin dal giudizio di primo grado (con particolare riferimento alla relazione di servizio), la distanza tra il cartello di presegnalazione dell’autovelox mobile e la postazione di controllo presidiata dagli agenti accertatori era di 432 metri.

Se tale dovesse effettivamente risultare essere la contestata distanza, è evidente che la stessa dovrà essere ritenuta adeguata allo scopo in virtù di quanto prima posto in risalto per effetto del rispetto del limite minimo (ove si reputino insufficienti al riguardo le misure minime stabilite, solo indicativamente, dal D.P.R. n. 495 del 1992, art. 79, contenente il regolamento del C.d.S.) di 400 metri previsto dall’art. 4 della Circolare ministeriale del 3 agosto 2007, recante disposizioni conseguenti all’entrata in vigore del D.L. n. 117 del 2007 (conv. in legge dalla L. n. 160 del 2007, art. 1, comma 1 e recante “Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione”, relative, tra l’altro, anche alla disciplina del controllo della velocità), con la conseguente valutazione di legittimità dell’eseguito controllo mediante il quale è stata accertata la violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 8, a carico del T.G. .

3. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere accolto con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa al Tribunale monocratico di Grosseto, in persona di altro magistrato, che, oltre a conformarsi al principio di diritto come prima enunciato, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale monocratico di Grosseto, in persona di altro magistrato.



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