Il dopo Bergoglio. Dal basso per la continuità
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(cardinali, foto ndr.) |
di Nico Baratta
FOGGIA, 27 APR. - Morto un Papa, se ne fa un altro. La solita frase, spicciativa, per andare oltre, per non pensare al passato e programmare il futuro. Detta così, proprio quando muore davvero un Papa, può sembrare anacronistica a ciò che il Pontefice ha fatto. È un modo di dire, a volte accettato, a volte no.
Di certo che in queste ore è partito, semplificandone il senso, il conclave day, che potrebbe durare più del previsto. Tutti i media a far statistiche, previsioni, classifiche, ponendo in essere tutte le variabili che entrano in campo quando si deve eleggere qualcuno. Il conclave è la scelta di un uomo a capo della Santa Romana Chiesa, cattolica, cristianamente per volontà dello Spirito Santo, socialmente per qualità e affinità del prescelto.
Tanti nomi in ballo, un toto-Papa che si ripete da decenni e in base agli eventi in corso.
Eppure il fil rouge tra il trascorso e il successore c’è sempre stato, più o meno tenace, adesivo alle esigenze di una chiesa che, giustamente, deve mantenere il suo status e fedeli, nella missione di cristianità e conversione dei popoli, bene comune e al prossimo e pace sulla Terra. Un’ottica non sempre perseguita, a fronte anche di dibattiti interni tra i porporati e di come vorrebbero conformare il cattolicesimo a loro somiglianza. Sono uomini, terreni, e la debolezza a volte prevale sulla spiritualità della missione.
Papa Francesco, che Dio lo abbia in gloria, nei suoi dodici anni di pontificato è stato sempre al margine del mondo, tra gli ultimi, tra quelli che silenziosamente chiedevano aiuto e nessuno glielo porgeva. Il suo successore chissà se sarà all’altezza di continuare questa nobile missione cristiana. Gli eventi geopolitici fanno pensare tutt’altro, su una figura più politica, più teologica (come fu Papa Benedetto XVI), più compenetrata laddove lo status si fonde con gli Stati.
Eppure il mondo ha bisogno di una figura carismatica, che sappia continuare l’opera misericordiosa del gesuita Bergoglio. Nel toto-nomi compaiono diverse figure, tutte opposte ma accomunate da un abito e soprattutto la fede, che poi è quella che deve guidare in Pastore del mondo cattolico.
Le variabili, tuttavia, fanno la differenza. Ed è qui che ci si gioca, eufemisticamente parlando, la credibilità e perciò la mission.
Tanti nomi e, riportando la mente ad altri toto-nomi, tante débâcle sulla loro uscita. In gergo diremmo nomi bruciati, spesso volutamente fatti uscire per non poi confermarli.
L’avviso che si pone è che il nuovo Buon Pastore sia continuo. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, 70enne del 1955, attuale presidente della CEI -Conferenza Episcopale Italiana-, voluto da Papa Francesco, italiano e non è una scelta campanilistica, potrebbe essere quella giusta. Un nome non tra i più quotati papabili. Lui è una bella persona, giusta al momento giusto. Viene dalla strada, quando da prete intraprese quel cammino che lo portò a star al fianco della Comunità di Sant’Egidio, e lo è tuttora, dedicando la sua vita al fabbisogno degli svantaggiati e degli emarginati, dei bambini bisognosi, ai senza fissa dimora e ai migranti, sempre in aiuto ai tossicodipendenti, di conforto e di bisogno ai carcerati, insomma sempre verso gli ultimi, come fu Papa Francesco.
Un uomo, un cardinale oggi, coraggioso, che parrebbe in controtendenza a chi accomuna il porporato ai colori politici, tra progressisti e conservatori, nel caso similitudine fuori luogo e meschinamente propagandistica. Certo, tra loro lo sono, ma per la dottrina evangelica, spesso mista tra vecchio e nuovo Testamento. Molti lo definiscono progressista. In realtà è rimasto umile, un prete di strada come Bergoglio, uno che non ostenta e non si è mai fatto tentare dai privilegi. La sua dimora una stanza, semplice, con un piccolo armadio e un comune scrittoio, tanto quanto basta per il suo fabbisogno.
S. E. Zuppi è un eccellente mediatore: sua è stato il lavoro svolto per la pace in Mozambico nel 1992, dopo ben oltre 15 anni di guerra civile, confermando la sua figura come simbolo di cooperazione tra i popoli africani. È rispettoso per le diversità, nutrendo vicinanza, un’apertura non ben vista da molti suoi colleghi, motivo “politico” ma non spirituale che lo allontana tra i papabili.
Lui sarebbe un ottimo Papa e il suo ministero potrebbe continuare a tener aperta la porta a quel modo giovanile oggi “confuso”, che ha bisogno di una guida, necessita di un esempio: «Non c’è bisogno di credere per essere capaci di amare. C’è tanta gente che non crede ed è un grande esempio di altruismo», le parole che scandì ai ragazzi del Film Festival Giffoni nel luglio 2024.
Ma le dinamiche interne, intrise da esterne variabili geopolitiche, non lo accreditano. Meglio un Papa che abbia sensibilità diverse, che, anche per intercessione dello Spirito Santo, dia serenità agli attuali disordini mondiali ma che ritorni verso una chiesa dottrinalmente più primigenia teocratica, soddisfacendo i Potenti della Terra più che il popolo di Dio, anche se chi governa una parte del mondo preferirebbe una ierocrazia, cristianamente abominevole.
Ma lo Spirito Santo, e qui non si vuol essere blasfemi, ci sarà e se non sarà Zuppi il prossimo Papa, beh, il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, classe 1957 perciò 68enne, si augura lo diventi. Anch’egli prete venuto dal basso, da etnie genitoriali diverse, attento al fabbisogno dei più deboli, promotore di una chiesa che non giudica, ma accompagna e ascolta, attento alle diversità dove coniugare dottrina e misericordia sono le basi dell’attività pastorale, sostenendo come Bergoglio «Chi sono io per giudicare» ma allo stesso tempo tenendo ferma la barra sui principi cristiani e i loro sacramenti.
Poi, se quelle famose esterne variabili geopolitiche saranno la “guida”, dal conclave 2025 potremmo ahinoi avere un Papa a loro immagine e somiglianza.
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